La Repubblica Centrafricana si trova nel cuore dell’Africa, in quella regione sempre più drammaticamente instabile che è il Sahel, dove diversi paesi sono soggetti a continui colpi di stato, a una povertà cronica e quindi all’inevitabile insorgere di milizie islamiste ribelli che ne approfittano per infoltire le loro fila, arruolando persone deluse, affamate, in cerca di riscatto.
Come ci ha detto in questa intervista padre Federico Trinchero, appartenente ai frati Carmelitani Scalzi, in Centrafrica dal 2009 e responsabile delle missioni carmelitane, “il 15 dicembre le truppe francesi della missione che si trovava da noi e in altri paesi come il Mali si sono definitivamente ritirate. Da tempo in Centrafrica sono presenti le milizie russe del gruppo Wagner, che sono riuscite nel compito che non era stato assolto dai francesi, sconfiggere cioè i ribelli islamisti”.
I russi però si sono resi protagonisti di atti di violenza anche contro la popolazione civile, creando un malcontento generale, segno di un paese che non riesce ancora a trovare un’autorità indipendente. Nonostante questo, la presenza missionaria dei frati a cui apparitene padre Trinchero si è fatta sempre più decisa, grazie soprattutto a una scuola di formazione agricola da loro fondata nella missione che si trova alla periferia della capitale Bangui e “che è diventata esempio per tutta la nazione. Da parte delle autorità manca, infatti, ogni impulso imprenditoriale e ogni iniziativa, in un paese che pure conta il maggior numero di giovani in tutta l’Africa, lasciati però completamente a se stessi”.
Com’è la situazione nella vostra missione? Sappiamo che siete impegnati in lavori di ristrutturazione e ampliamento.
Sì, da circa un anno e mezzo siamo impegnati con la costruzione dell’abitazione di noi frati. Il progetto è molto complesso, prevede una foresteria e una grande chiesa. I lavori, data la nostra situazione, vanno un po’ a rilento, ma contiamo di poter andare ad abitare nella nuova casa il prossimo Natale.
Un paio di anni fa avete aperto una scuola di formazione agricola, giusto?
Sì, e sta andando molto bene, abbiamo una quarantina di studenti e siamo diventati un esempio per tutto il Centrafrica. E’ stato possibile aprirla grazie al finanziamento dell’otto per mille. Sosteniamo anche sei giovani che fanno studi di agronomia. Il problema maggiore di questo paese è che manca personale competente, spesso lo trovi tra gli anziani e non tra i giovani. Puntiamo molto su questi giovani. Qui è difficile trovare anche muratori competenti, c’è manodopera di giovani, ma trovare uno che sappia come si fa una finestra o un pilastro è complicato.
Il Centrafrica si trova nel Sahel, una regione sconvolta dall’insorgenza di gruppi radicali islamisti che uccidono e rapinano. Dieci anni fa, durante la guerra civile, voi avevate dato ospitalità a ben 10mila sfollati. Com’è oggi la situazione?
La zona della capitale e quella occidentale del paese sono abbastanza tranquille. Recentemente ho compiuto un viaggio di dieci giorni visitando le nostre missioni al nord e non ho incontrato ribelli. Ci sono invece ancora problemi nella zona nord-orientale. Ma il grande problema oggi è che manca il gasolio ormai da sei mesi. Si trova solo sul mercato nero a prezzi molto alti.
L’impatto della guerra in Ucraina sta colpendo tutto il mondo, questo problema è dovuto al conflitto in corso?
In realtà la guerra in Ucraina è stata usata inizialmente come scusa per l’aumento del prezzo del gasolio, ma il vero problema sono i conflitti tra aziende, come la francese Total, e il governo. Non c’è una ricaduta vera della guerra in Ucraina sul Centrafrica.
In Centrafrica dopo il fallimento della missione francese sono arrivate le milizie del gruppo russo Wagner. Pochi giorni fa un funzionario di Mosca è stato ferito da un pacco bomba e il capo della milizia Wagner ha accusato la Francia. È una situazione tesa?
La presenza russa si è molto ridotta, perché sono stati richiamati quasi tutti in Ucraina. Dal 15 dicembre scorso sono andati via tutti i soldati francesi e questo ci preoccupa un po’. Certamente ci sono molti interessi, molte presenze straniere nel paese, che rendono la situazione complicata. Sta invece aumentando la presenza dei ruandesi. Da anni c’è una relazione molto forte tra Centrafrica e Ruanda, un paese che viene visto come esempio in tutto il continente per come ha saputo superare i problemi della loro guerra civile. Oggi è molto sviluppato e questo ci fa ben sperare che possa portare a una crescita anche per noi. Non sappiamo però quanto la loro presenza sia legata a interessi affaristici a loro vantaggio, ma al momento sono ben accolti dalla popolazione.
Dopo la fine della guerra civile, come va la convivenza tra cristiani e musulmani?
Il peggio è passato e le relazioni in questo momento sono buone. Dove vivo io, fino a qualche anno fa era proibito anche andare nei quartieri musulmani, oggi si va senza problemi. Il cardinale Dieudonné Nzapalainga ha intessuto forti relazioni con loro, si è dato e si dà molto da fare. La questione confessionale che aveva avvelenato il conflitto era artificiale, non era quello il motivo della guerra, ma veniva usato strumentalmente. Quello che resta oggi è il sottosviluppo del paese e l’abbandono, la mancanza di interesse da parte delle autorità per iniziare un vero sviluppo.
Voi siete esempio di convivenza tra religioni e culture diverse e di laboriosità, mentre in Europa una guerra sta dilaniando due popoli cristiani, quello ucraino e quello russo. Come vede tutto questo, in particolare in vista del Natale?
La percezione della guerra in Ucraina sta scemando, all’inizio se ne parlava molto, anche se il fatto che gli ucraini siano senza corrente elettrica ci fa pensare che noi lo siamo da sempre. La mia impressione è che sia una guerra inutile, non riesco a darmi una ragione della follia di un uomo che ha creato dei pretesti per una distruzione fine a se stessa, senza scopi né ragioni. Ammiro la resistenza del popolo ucraino, è un esempio per noi che siamo meno patriottici. L’ispirazione davanti a tutto questo ci viene da papa Francesco, che richiama incessantemente al dialogo, che soffre per questa incapacità di incontro, che genera solo morte e dolore. Guardiamo al Natale come speranza per un possibile e desiderato cambiamento di tutto questo. Dobbiamo sfruttare tutte le occasioni che la vita ci offre per mandare segni di amore a Gesù e fare in modo che gli altri possano conoscerLo e amarLo.
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