“La pandemia ci ha fatto scoprire un “presepe vivente” in cui i poveri non sono statuine, ma persone in carne e ossa che non hanno lavoro, non hanno salario, vivono sui marciapiedi o sono vedove impaurite oppure malati costretti a vivere nelle proprie case”. Ecco perché, racconta in questa intervista padre Fernando Cagnin, missionario del Pime da 30 anni in Cina e a Hong Kong, “è un Natale impegnativo per chi ha una fede viva e attiva”. Un Natale che chiama noi cristiani a diventare “umili missionari, dalle poche pretese e con mezzi personali limitati, ma con un Dio che è così grande e forte da farsi come noi per camminare accanto a noi, soffrire accanto a noi. Il sogno di Dio è semplice: siamo tutti fratelli e sorelle, perché figli e figlie suoi”.



La Santa Sede ha recentemente rinnovato, prolungandolo provvisoriamente fino al 2022, l’accordo sui vescovi che aveva stipulato con la Repubblica Popolare Cinese nel 2018, con l’intenzione di “perseguire un dialogo aperto e costruttivo a beneficio della vita della Chiesa cattolica e del bene del popolo cinese”. In questi anni come sono cambiati i rapporti tra le comunità cattoliche e le autorità cinesi?



Questa è una domanda molto complessa, anche per me, che sono un missionario che ha vissuto tra la gente in Cina per 22 anni e più di 30 comprendendo anche il tempo trascorso a Hong Kong. Credo che di buono ci sia il “modo gesuitico”, alla Matteo Ricci – già 400 anni fa! – con cui le due nazioni cercano di mantenere una pubblica “amicizia”, cioè una sorta di armonia. E sul significato di questo termine sarebbe opportuno andare a rileggere cosa diceva allora Matteo Ricci. Oggi è ancora più vero.

Cosa può dirci di questa “armonia”?

Le dinastie imperiali, perché solo così si governa da queste parti un continente, si sono susseguite per millenni e continuano a durare e il loro stile non è basato su criteri economici, come pensano gli occidentali, e nemmeno sui valori cosiddetti dei “diritti umani”. Qui la libertà è stare al tuo posto dentro uno spazio che ti è dato e che è paragonabile a un elastico.



In che senso?

Quando le cose vanno bene per tutti, e soprattutto al partito, allora ci si può allargare. Quando va male a loro, allora si cerca di stare dentro al proprio “elastico ristretto”. Per questo bisogna lodare Dio che la Chiesa in Cina ci sia e si sia sviluppata molto in questi ultimi decenni. Ora abbiamo più di cento diocesi con vescovi, clero locale e soprattutto laici molto ben preparati. Credo che si debbano anche ringraziare coloro che lavorano molto nel silenzio.

Come i fedeli cinesi hanno accolto l’enciclica del Papa Fratelli tutti? C’è un messaggio particolare che li ha colpiti?

Difficile rispondere, stiamo parlando di un popolo che vive in un continente. Ma credo che sia stata accolta molto bene. Qui è come nella chiesa primitiva: c’è chi si collega di primo mattino con le notizie vaticane e dopo averle raccolte, tradotte, elaborate e rilanciate in lingua locale, va a messa e ne parla. È un tam-tam, così la Chiesa vive. Ed è una meraviglia sentirsi tutti fratelli, cinesi e occidentali, ricchi e poveri: tutti impariamo a convivere e ad aprirci. È un miracolo. Dobbiamo ringraziare il Papa che ci dà la possibilità di rimettere questi messaggi “come il sale” nella vita nostra e della Chiesa.

Che contributo offrono oggi i cattolici e i missionari alla società cinese? In quali ambiti?

Esattamente quello che fanno o dovrebbero fare anche in Occidente: aiutano gli ammalati, gli anziani, i poveri, gli stranieri.

Quest’anno il Natale in Cina e a Hong Kong subirà restrizioni o divieti, anche a causa della pandemia?

Anche in questi tempi un po’ duri la Chiesa cresce, forse più sobria e sana di quella un po’ accomodata che ho visto in molti luoghi dell’Occidente. E a Hong Kong siamo un po’ più “elasticizzati” che in Cina, anche se sono in vigore le nuove leggi che hanno portato in tribunale migliaia di persone. Inoltre siamo in pieno lockdown con la quarta ondata di Covid-19. Quindi niente messe, riunioni, ristoranti chiusi, matrimoni e funerali a numero ristretto, ma nelle nostre cappelle, interne e online, la vita religiosa continua e diventa sempre più creativa, con la freschezza di un cristianesimo nel suo stato di Chiesa del primo e secondo secolo di vita.

A proposito di Covid, dopo il clamore iniziale, è calata una sorta di silenzio. Come è oggi la situazione dei contagi in Cina e a Hong Kong?

La pandemia ci ha fatto scoprire un “presepe vivente” in cui i poveri non sono statuine, ma persone in carne e ossa che non hanno lavoro, non hanno salario, vivono sui marciapiedi o sono vedove impaurite oppure malati costretti a vivere nelle proprie case. La gente ovviamente soffre sotto tutti gli aspetti, economico e come vita di gruppo: nel mondo confuciano Stato, clan, famiglia, gruppi, club sono sentiti moltissimo, come l’aria che respiri. Anche la Chiesa si è organizzata con molte attività online, da quelle del gruppo parrocchiale o che opera dentro l’ospedale fino alla Messa del vescovo trasmessa dalla cattedrale.

Che significato ha la venuta di Gesù per le comunità di fedeli che vivono in un paese profondamente ateo?

Molti non cristiani apprezzano la Chiesa anche perché sono a conoscenza dei valori cristiani. Hanno studiato nelle scuole cattoliche e protestanti, che sono più della metà di quelle presenti a Hong Kong, oppure sono parenti di cattolici o di persone anche attive e praticanti nelle chiese cristiane. Quindi qui sono in gran parte molto rispettosi del modo di vivere e sentire degli altri. Dio ci aiuti a non essere impauriti dalle cose del mondo, politiche, economiche, sociali o sanitarie, ma stimolati sempre a vedere l’altra faccia della medaglia, così da poter sempre dire con il nostro Maestro “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”: in tal modo siamo fratelli dei nostri compagni atei e dei nostri fedeli entusiasti o meno.

E come viene preparato e vissuto il Natale a Hong Kong?

I laici si danno da fare per tenere informati i fedeli su messe, adorazioni e preghiere. Ma anche offrendo aiuti materiali, distribuendo ogni cosa necessaria: mascherine, cibo, vestiti per i poveri. E senza dimenticare il doposcuola per i bambini. Appena uno ha bisogno, la voce si sparge e si viene sommersi di “buona volontà”. Viviamo in una metropoli con una diocesi che ha alle spalle un secolo e mezzo di attività missionaria.

Che messaggio porta questo Natale?

È un Natale impegnativo per chi ha una fede viva e attiva. E allora diventiamo umili missionari, dalle poche pretese e con mezzi personali limitati, ma con un Dio che è così grande e forte da farsi come noi per camminare accanto a noi, soffrire accanto a noi, per poi risorgere. Mettendo in luce la speranza che abbiamo tutti fin dall’inizio dell’umanità. Il sogno di Dio è semplice: siamo tutti fratelli e sorelle perché figli e figlie suoi.

Il Pime ha voluto dedicare il 2020 alla Cina, in occasione dei 150 anni di presenza dei suoi missionari nel grande paese orientale. Che frutti ha dato questa presenza?

Parliamo di risultati diversi. Nel mio caso, per esempio, seguivo un progetto per la formazione di persone con disabilità intellettiva. All’inizio è stato molto utile, purtroppo la pandemia ha poi reso impossibile continuare, anche perché, oltre all’insorgere di altre urgenze molto pressanti, si sono registrati alluvioni e altri disastri naturali, tipici in un continente come la Cina. Ovviamente con gli aiuti materiali si può intervenire in modo efficace e di questo sono davvero riconoscente a tutti i benefattori che ci sostengono con tanti sacrifici.

E il secondo tipo di risultati?

Una testimonianza di partecipazione e solidarietà nel momento del bisogno. I cinesi hanno un detto che dice: è come ricevere carbone quando nevica! La testimonianza cristiana e umana è molto efficace quando arriva da molto lontano e in modo così gratuito. Una testimonianza magari fatta nel nascondimento, con amore e condivisione, senza alcun tipo di ricompensa o gloria personale, colpisce al cuore e porta al cambiamento di vita e anche alla conversione.

(Marco Biscella)