“Come ogni anno il Natale celebra la nostra gioia per il nostro Dio che non si è ancora stancato del mondo. A Natale Dio nasce proprio come alba di speranza di un mondo nuovo che Dio stesso sogna, nonostante la cattiveria umana”. E di cattiveria monsignor Angelo Pagano, frate cappuccino, dal 2016 Vicario apostolico di Harar, in Etiopia, ne vede tanta, a partire da una guerra civile che si protrae ormai da più di un anno: le ferite che purtroppo questa guerra fratricida sta procurando sono innumerevoli e di grande entità” e “sarà veramente difficile, anche a conflitto ultimato, rimarginarle in tempi relativamente brevi”.
E poi c’è l’emergenza Covid, in “continuo sviluppo”, anche se numeri affidabili su contagi, ricoveri e decessi non se ne hanno. Ma la comunità cristiana in Etiopia non si arrende al pessimismo. Anzi, come ricorda monsignor Pagano, “porta molteplici frutti, dal conforto spirituale agli aiuti di promozione umana e sociale. Frutti che, specialmente nelle zone di guerra, dove è stato possibile arrivare, indipendentemente dalle fazioni in causa, si sono intensificati: come distribuzione di cibo e sostentamento economico e altre azioni sociali”.
L’Etiopia è dilaniata da una guerra civile che va avanti da oltre un anno. Quali ferite sta lasciando questo conflitto? Esiste una possibilità di riconciliazione fra le parti?
Purtroppo la guerra, che era stata annunciata dal primo ministro etiopico come una semplice formalità di breve durata, si è ormai protratta per più di un anno e, visto l’andamento del conflitto, nessuno può ipotizzare con certezza quanto durerà ancora e se alla fine ci sarà un vero vincitore. Le ferite che purtroppo questa guerra fratricida sta procurando sono innumerevoli e di grande entità. Tutta la popolazione che di volta in volta si è trovata nella zona del conflitto, che non è una zona unica, ma che coinvolge diverse parti del territorio etiopico, oltre alle numerose perdite di vite umane ha dovuto subire umiliazioni, assalti indiscriminati, violenze, stupri, ruberie, distruzione di ospedali, scuole, fabbriche, strumenti, materiali eccetera.
Perché questa recrudescenza generale?
La situazione purtroppo si è tristemente evoluta, e ora nel conflitto non sono più coinvolti solo i tigrini, come all’inizio, ma anche altri gruppi etnici. Tutte le famiglie, e anche la Chiesa cattolica e tutti gli istituti religiosi che sono multietnici, in un verso o nell’altro sono stati colpiti nei sentimenti più intimi e nelle già delicate relazioni interne; questo fa sì che le ferite continuino a sanguinare e che sarà veramente difficile, anche a conflitto ultimato, rimarginare queste ferite in tempi relativamente brevi.
Non s’intravvede alcun barlume?
Ora come ora, nonostante gli strenui sforzi delle varie commissioni internazionali che hanno tentato una mediazione per favorire la riconciliazione fra le fazioni in conflitto, non si riesce a vedere qualcosa di concreto, perché le due parti dettano condizioni difficilmente accettabili dai contendenti, non solo per iniziare un processo di riconciliazione, ma almeno per firmare una tregua armata.
La comunità internazionale si è dimenticata di questo angolo di mondo?
Non è una domanda alla quale si possa rispondere in modo esaustivo. Parte della comunità internazionale influisce certo negativamente sullo sviluppo della guerra con notizie false e non controllabili, a seconda delle relazioni o dell’interesse che hanno per una fazione o per l’altra. Spesso leggiamo o sentiamo notizie non vere o non verificabili e senza un vero fondamento. Alcune comunità internazionali aiutano senz’altro a portare avanti questa guerra con forniture o supporti logistici. Altre – e ringraziamo il Signore – si prodigano per far arrivare aiuti con forniture di viveri, medicinali e ciò che serve per aiutare i milioni di abitanti in difficoltà.
È emergenza Covid anche in Etiopia? Com’è la situazione dei contagi, dei ricoveri e dei decessi?
Certamente, anche in Etiopia, l’emergenza Covid è in continuo sviluppo, ma per quello che si sa non abbiamo numeri affidabili per quanto riguarda contagi, ricoveri o decessi, anche perché la maggior parte delle informazioni che ogni giorno ci vengono fornite riguardano la situazione della guerra. Una cosa comunque è certa: il governo cerca di far arrivare le indicazioni ai cittadini sulla mascherina, l’igiene e il distanziamento sociale, tutte cose giuste, ma di difficile attuazione per le oggettive condizioni di vita. Quando i vaccini sono disponibili, sono gratuiti per tutti, ma specie nelle campagne è molto radicata la diffidenza a far vaccinare sé e i propri figli. Così la gente continua a morire anche di Covid.
Com’è la situazione oggi delle comunità cristiane in Etiopia?
In generale, è abbastanza buona: tranne qualche eccezione di piccoli gesti di intolleranza religiosa, direi che rispetto a qualche anno fa o anche solo un anno fa la situazione è più tranquilla.
Che frutti porta la loro presenza?
La comunità cattolica in Etiopia porta molteplici frutti, dal conforto spirituale agli aiuti di promozione umana e sociale. Frutti che, specialmente nelle zone di guerra, dove è stato possibile arrivare, indipendentemente dalle fazioni in causa, si sono intensificati: come distribuzione di cibo e sostentamento economico e altre azioni sociali. In questo momento, poi, tutte le comunità cristiane del nostro vicariato, come negli altri vicariati, si stanno impegnando in vari modi e con i loro propri mezzi nel cammino di preparazione che papa Francesco ha chiesto ai cattolici di tutto il mondo per preparare il prossimo Sinodo dei vescovi del 2023. La domanda del Papa “Incarniamo lo stile di Dio, che cammina nella storia e condivide le vicende dell’umanità?” interpella fortemente noi in questo cammino insieme e in comunione con il nostro popolo.
Che cosa attendono oggi nel loro cuore i cristiani?
I cristiani, così come tutto il popolo etiope, nel loro cuore, in questo momento, desiderano la pace più di ogni altra cosa. Tutte le comunità cristiane hanno intensificato le loro preghiere per la pace; tutte le confessioni religiose si sono riunite per incontri interreligiosi proprio per invocare la pace.
Che messaggio si sente di lanciare al popolo etiope?
Sia in Africa che in Asia c’è un proverbio che dice: “Quando due elefanti o due tori si combattono chi ci va di mezzo è l’erba del campo”, cioè è sempre la povera gente che soffre. In questa difficile e dolorosa situazione, dove si rischia di sentire solo il rumore delle armi o il silenzio della paura, dobbiamo alzare contro la guerra e contro la violenza la nostra voce di cristiani insieme a quella di tutte le nostre sorelle e fratelli di buona volontà.
Ma non le sembrano voci finora inascoltate?
Sì, è certamente difficile, perché le nostre voci sembrano così flebili rispetto ai fragori della guerra. Eppure non è il momento di lasciarci prendere dal pessimismo. Riaffermiamo la nostra fede nel Signore Gesù nato, morto e risorto per noi, Lui che è Via, Verità, Vita, unica nostra speranza certa, anche quando purtroppo tutto sembra incrinarsi intorno a noi per egoismo, ingiustizia, violenza, vendetta, smodata sete di potere o di ricchezza.
Con quale speranza vive allora questo Natale?
Come ogni anno il Natale celebra la nostra gioia per il nostro Dio che non si è ancora stancato del mondo. A Natale Dio nasce proprio come alba di speranza di un mondo nuovo che Dio stesso sogna, nonostante la cattiveria umana: un mondo senza violenza, un mondo di giustizia, pace, fraternità, come ogni bambino e ogni persona umana sogna. Perciò colgo l’occasione per porgere, anche a nome della popolazione del nostro vicariato, a tutti i lettori e a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e amici i migliori auguri di buon Natale e buone feste.
(Marco Biscella)
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