Iraq, la terra di Abramo, l’uomo che Dio chiamò personalmente per affidargli il popolo che avrebbe costruito la Sua discendenza sulla terra. Una terra oggi stravolta da guerre continue, massacri, e dove proprio la discendenza di Abramo oggi è ridotto al lumicino, spaventata e scacciata. Qui il prossimo marzo si recherà per la prima volta un papa, “un pellegrinaggio alle radici dell’identità cristiana”: “Non solo i cristiani, ma tutto il popolo iracheno è emozionato per questa visita”, ci ha detto Louis Raphaël I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, la più numerosa comunità cristiana irachena. “Sarà una occasione di incontro anche con la comunità islamica, il papa si rivolgerà a noi, ma anche a tutti quesi paesi vicini che soffrono oggi come il Libano, la Siria, lo Yemen, l’Iran, in condizioni di vita tragiche. Sarà proprio la sua ultima enciclica, Fratelli tutti, alla base di questa visita, che a noi cristiani ci sta invitando a riscoprire la nostra vocazione, di essere voce di quella fratellanza che oggi mura e conflitti hanno quasi distrutto”.



Un Natale questo che assume un significato particolare, unico, che si spera sia da esempio per tutti i paesi arabi: su richiesta dello stesso monsignor Sako al presidente della Repubblica irachena, il parlamento ha votato all’unanimità la dichiarazione del Natale come festa nazionale, qualcosa di assolutamente inedito per un paese dove il 98% della popolazione è islamica: “Erano anni che lo chiedevo” ci ha detto Sako “come riconoscimento della presenza cristiana in Iraq, per far sì che i cristiani non siano considerati cittadini di serie B, e finalmente è stato accettato. È un Natale diverso per tutti, una gioia infinita”.



Monsignore, il parlamento iracheno ha votato all’unanimità il riconoscimento del Natale come festa nazionale, una cosa assolutamente inedita in un paese a stragrande maggioranza musulmana. Come è accaduto?

Da anni chiedevo questo favore per i cristiani, per aiutarli a non sentirsi cittadini di seconda categoria. Ho scritto una richiesta ufficiale al presidente, ci siamo incontrati e gliel’ho consegnata. Poi non ho sentito più niente, la mattina della votazione l’ho chiamato per dirgli che ormai il Natale è vicino, che fine ha fatto la mia richiesta? Lui mi ha detto che avrebbe parlato con il presidente del parlamento e quel giorno hanno votato. Non è un regalo, è un diritto.



Forse anche un omaggio in vista della prossima visita del Papa in Iraq?

No, questa richiesta l’avevo fatta da anni. Ho scritto le ragioni, Cristo ha un posto capitale nel Corano, è l’unico di cui si dice che il Suo volto è davanti a Dio. Cristo e sua mamma sono un segno per tutti, c’è una parola araba che significa miracolo quando ci si riferisce a loro. I musulmani hanno tante feste e noi neanche un giorno, ho chiesto ci fosse riconosciuto questo giorno.

Un grande gesto di distensione, ma gli islamici radicali e fondamentalisti lo accetteranno?

Non siamo preoccupati, alla Messa di Mezzanotte ci sarà il presidente della Repubblica, molti ministri, diplomatici, autorità religiose che verranno a presentare gli auguri della popolazione islamica.

Come vi state preparando alla visita del Pontefice e cosa significa per voi?

I cristiani ma tutto il popolo iracheno è pieno di emozione, è un grande conforto per tutti in un tempo di incertezza nel quale viviamo. Il papa avrà messaggi con cui dire agli iracheni ma anche oltre il confine, in tutti quei paesi dove ci sono problemi simili come in Siria, in Libano, nello Yemen, in Libia e in Iran. Sentire una cosa diversa invece di sentire sempre la voce delle armi ci darà tanta speranza, ci inviterà a ritrovare il senso di una fraternità, della vita e della natura.

L’Iraq è la terra di Abramo, il padre del popolo di Dio, una terra scelta per il compiersi della Sua parola.

L’Iraq è una terra santa così come lo è la Palestina, è la patria di Abramo chiamato dalla voce di Dio a compiere un cammino, ad aderire a una avventura. Lui l’ha chiamato ponendo in Abramo grande fiducia. Rappresenta fede e di speranza per tutti. Ma l’Iraq è anche terra di profeti. Qui c’è la tomba di Ezechiele, a Mosul quella di Giona, l’antica Ninive, tanta parte della Bibbia è stata scritta qui durante l’esodo. La chiesa d’oriente è quella più antica, Tommaso venne qui a predicare il cristianesimo. Quello del papa è  un pellegrinaggio ma anche una vocazione nuova per un risveglio spirituale e morale.

Il papa incontrerà anche i rappresentanti dell’islam?

A Ur ci sarà una celebrazione interreligiosa con capi musulmani, sciiti e sunniti e anche altre religioni e minoranze. Ci sarà una messa con l’autorità del Kurdistan e a Mosul una visita simbolica perché questa città venne distrutta dall’Isis e i cristiani cacciati. 

Il fondamentalismo è ancora vivo in Iraq?

In parte, ma non ha futuro, non è il modo per risolvere i problemi e vivere in armonia. Il papa andrà nella piana di Ninive dove  vivono tanti cristiani ancora senza casa per incoraggiarli a rimanere in Iraq e costruire la fiducia con i cittadini.

Lei in passato ha detto che non si può immaginare questa terra senza i cristiani, oggi siete una minoranza, come fare per convincerli a restare?

Prima dell’arrivo dei musulmani l’Iraq era quasi totalmente cristiano, c’erano migliaia di chiese, monasteri, ospedali. Non dobbiamo lasciare la nostra terra, il nostro compito è testimoniare la nostra diversità, la responsabilità verso i musulmani è di presentare la nostra fede in modo comprensibile. Andarsene vuol dire rompere tutti i rapporti, sarebbe la morte. Nonostante i tanti problemi dobbiamo perseverare perché abbiamo una vocazione.

L’anno scorso l’Iraq era travolto da manifestazioni e scontri, non si tennero le messe di mezzanotte. Quest’anno?

Abbiamo sospeso tutte le attività per nove mesi, per via degli scontri, ma anche per il virus. Da due mesi abbiamo ripreso a celebrare in chiesa osservando le misure di sicurezza. Celebriamo la messa di mezzanotte con tanta gioia, ci saranno autorità musulmane e del governo.

Il messaggio della nuova enciclica Fratelli tutti ha un significato particolare per voi?

Noi cristiani siamo coscienti del messaggio di fratellanza, di amare i nostri nemici. Dire questo dove ci sono tensioni e settarismo e mura a causa delle religioni, soprattutto in medio oriente è importante. Dobbiamo dir loro che siamo fratelli anche se diversi, è un peccato combattersi invece di essere solidali e collaborare insieme per costruire i nostri paesi, una società nuova. Queste parole avranno un impatto molto grande sulla base musulmana.

(Paolo Vites)