Chiudo, non chiudo? Perdo più consensi con un lockdown totale o con uno morbido? In questo disarmante tira e molla, i giorni passano, i numeri della pandemia “non migliorano”, e lo scenario da tutti esorcizzato si fa sempre meno remoto: un Natale di confinamento.
Il Governo mastica e rimastica orari e formule, in un chewing gum che nel tentativo di ascoltare tutti non accontenta nessuno, elaborando dipiciemme incerti, semilavorati di strategie da pronto soccorso, più che da terapia intensiva.
«Le misure contenute nell’ultimo Dpcm sono un passo avanti, ma non sufficiente per affrontare la circolazione del virus in questo momento» aveva detto il consulente del ministro della Salute, Walter Ricciardi, commentando il Dpcm del 25 ottobre: probabilmente anche oggi non cambierà opinione, vedendo le misure dell’ennesimo decreto. “Stare a casa oggi per salvare il Natale domani”, scrivevamo su questo giornale quindici giorni fa.
Invece sembra che adesso il coprifuoco sarà di tipo soft, sulla scia di quanto deciso in Germania e in Francia, cioè solo nelle ore notturne, e le altre limitazioni riguarderanno (in parte) la scuola, la capienza dei mezzi di trasporto pubblico (dall’80 al 50%), le chiusure festive dei centri commerciali, gli spostamenti tra regioni, e ancora musei, teatri e ristorazione.
Misure mezze, già così crudeli per i settori più esposti, ovviamente, ma pur sempre mezze, destinate ad incassare altrettanto mezzi risultati, successi dello zerovirgola sull’indice Rt, non sufficienti per garantire una fine tranquilla per questo straziante 2020. Forse (ma non è detto) si arriverà almeno a frenare la rapida ascesa delle curve pandemiche, ma certo non potrà bastare questo per rendere festa il Natale, il periodo dell’anno che per un settore già brutalmente aggredito dagli effetti del Covid-19 potrebbe costituire un balsamo provvidenziale.
Ma se dovesse saltare il Natale, in lockdown o comunque in altre limitazioni, cosa si troverebbe a dover sopportare ancora il turismo italiano? Ci informa l’istituto per la ricerca economica e sociale Demoskopika: con un Natale azzerato salterebbero circa 13 milioni di arrivi, per 35 milioni di presenze, con una perdita di 4 miliardi di euro. Il tutto comporterebbe 100mila imprese a rischio fallimento e 440mila posti di lavoro a rischio.
Il Natale, dunque, non è solo l’abete addobbato e lo shopping. Certo, è anche questo, ma c’è ben altro. L’industria bianca (tutta la filiera legata al turismo montano invernale) genera circa 11 miliardi e dà lavoro a quasi 14mila persone, oltre a costituire la voce più importante delle entrate dei vari territori coinvolti. È questa industria che andrebbe fallita se il Natale venisse compromesso da Covid o lockdown o ancor peggio dall’incertezza che tutti i tentennamenti causano.
Il Dpcm del 25 ottobre, che ha decretato la chiusura degli impianti fino al 24 novembre, potrebbe però adesso venire già superato dalle nuove linee guida che la Conferenza Stato-Regioni esaminerà giovedì (si tratta dei protocolli per evitare assembramenti e garantire la sicurezza negli impianti di risalita), per passare poi alla validazione del Comitato tecnico scientifico.
Si resta insomma in attesa, in queste giornate che solitamente vedono l’inizio dei costosi innevamenti programmati, che le attuali temperature più che miti hanno fatto spostare in avanti di due settimane. Ma la neve tanto sognata dagli appassionati resta appesa a un filo, col rischio di finire poltiglia vergine perché nessuno a Roma vuole varare oggi il deciso reset di due/tre settimane che sarebbe forse una buona premessa per “salvare il Natale”.