Un uomo del dialogo, nonostante tutto. Padre Jacques Mourad venne rapito dallo Stato islamico nel 2015, ma riuscì a fuggire in modo fortunoso dopo cinque mesi di prigionia, fatti di vessazioni, torture e violenze per costringerlo a rinnegare la fede cattolica. Fondatore insieme a padre Paolo Dall’Oglio della comunità monastica di Deir Mar Musa al-Abashi (Mosè l’Abissino), vi prese i voti come monaco nel 1993, per diventare poi sacerdote siro-cattolico. Oggi è arcivescovo di Homs dei Siri.
“Nel Natale il Cielo è venuto in Gesù Bambino su questa terra per donarci la salvezza. Siamo chiamati alla divinità non solo come persone individuali, ma anche come popolo”, dice al Sussidiario mons. Mourad. Per questo il destino della Siria è una profezia per tutti, per cristiani e musulmani, che hanno saputo rispettarsi per secoli.
Il nuovo governo, espressione di Hayat Tahrir al Sham, lancia segnali preoccupanti, spiega l’arcivescovo, ma nello stesso tempo è presto per tirare le somme, perché la Siria è un malato che per guarire ha bisogno di tempo. I cristiani, intanto, lanciano segnali incoraggianti.
Monsignor Mourad, si stava meglio prima o si sta meglio adesso?
Non è semplice da dire. Certo è che una vita senza libertà non è vita, non è umana. Per tutti noi, tutto il popolo siriano, non solo i cristiani, quella di prima non era vita vera, perché il regime di Assad è stato una grande prigione morale.
Perché dice “non solo i cristiani”?
Perché non siamo un popolo separato e non dobbiamo esserlo. Siamo un popolo solo, quello siriano, sia pure con molte differenze al proprio interno.
Continui.
Non possiamo ancora dire che adesso si sta meglio. La Siria è come un malato, che ha bisogno di tempo, non si può fare un bilancio dopo i primi farmaci.
Il regime di Assad opprimeva o eliminava gli oppositori politici, però nello stesso tempo rispettava la libertà delle fedi che ci sono in Siria. È d’accordo?
Ma che significa “libertà religiosa” quando non c’è libertà di parola, di incidere anche nella vita sociale, politica, economica? La libertà religiosa non è solo la libertà di culto. Gesù ha cambiato la vita intera, anche la vita sociale: ha guarito i malati, ha riportato in vita i morti. Questa è la missione della Chiesa, manifestare in modo efficace lo Spirito nella società, nella storia. Cosa sarebbe oggi l’Europa se la Chiesa non avessi avuto questo ruolo? Sarò ancora più chiaro. Per noi (cristiani, ndr) non c’era né una radio, né una tv cristiana, non si potevano stampare libri religiosi senza il controllo del ministro.
Lei si fida di Ahmad al Sharaa, ovvero al Jawlani?
Noi oggi dobbiamo fidarci del nuovo governo, ma solo nella misura in cui è un governo temporaneo. Su questo bisogna essere chiari: l’attuale governo non può rimanere per sempre, perché non possiamo accettare, come popolo siriano, un governo militare. Secondo punto: il governo attuale si presenta come governo islamico, ma in questo modo non è adatto alla complessità della società siriana. Il palazzo di Giustizia, della giustizia onnipotente di Assad e della sua corruzione, non può diventare la sede della sharia.
È questo che sta avvenendo?
Sì. Il nuovo governo, nelle sue nuove strutture, si sta presentando come governo islamico, e questo è pericoloso. Siamo in una fase di transizione, ma non dobbiamo tornare indietro. Qui c’è un terzo aspetto da considerare.
Quale?
Al momento manca qualsiasi tipo di garanzia sul futuro per quanto riguarda la riscrittura della costituzione e l’elezione del nuovo presidente. In Siria ci sono persone che possono essere adatte a questa responsabilità. Il nuovo governo lascerà loro spazio? È su questo che andrà misurato.
I cristiani dovrebbero essere rappresentati nel governo?
Sarebbe giusto, perché anche noi siamo cittadini di questo Paese.
C’è qualcuno che si è incaricato di portare ufficialmente questa istanza?
Non ancora, ma c’è una iniziativa molto importante che fa capire come i cristiani siano disponibili ad assumersi la responsabilità di questo tempo. Sua beatitudine Yohanna X Yazigi, patriarca greco-ortodosso di Antiochia, nel suo discorso a Damasco del 15 dicembre è stato chiarissimo, ed ha invitato gli altri due patriarchi, il nunzio apostolico e Geir Pedersen, inviato speciale Onu per la Sira, a parlarne e confrontarsi. Dopo la sua iniziativa si è costituito un gruppo delle persone che rappresentano tutte le chiese in Siria per lavorare su questi temi e trovare un modo per mediare tra i cristiani e il nuovo governo.
In quel discorso il patriarca greco-ortodosso ha chiesto, tra l’altro, che la Siria rimanga un Paese unito.
Su questo sarebbe importante che arrivasse una dichiarazione di unità da parte di tutte le comunità e le minoranze che compongono la Siria, cristiani, ismailiti, alawiti, curdi, sunniti. Intendo dire che ogni gruppo dovrebbe chiedere una Siria unita.
Lei ha notizia che si stiano consumando uccisioni e vendette?
Sì, ci sono vendette, soprattutto verso gli alawiti. Ne sono stati uccisi una quarantina soltanto qui ad Homs. È un problema che non è legato tanto ai criminali comuni che sono stati liberati, quanto a coloro che sono stati prigionieri e che intendono vendicarsi.
Oggi è Natale. Cosa significa per lei?
Nel Natale Dio ha unito l’uomo e il Suo Figlio divino, il Cielo è venuto in Gesù Bambino su questa terra per donarci la salvezza. Siamo chiamati alla divinità non solo come persone individuali, ma anche come popolo. Questo Natale ha un nuovo gusto di libertà, perché è in gioco una possibile rinascita della Siria. Ma questa rinascita deve cominciare dentro di noi, nei nostri cuori. E poi vorrei dire che la Chiesa non è solo per i discepoli di Gesù, ma per tutta l’umanità.
Anche per i musulmani?
Sì. Penso al Documento sulla fratellanza umana voluto da papa Francesco e dal grande imam di al Azhar, al Tayyeb. È importantissimo per la Siria, oggi.
A cosa si riferisce in particolare?
A noi cristiani chiede di aprirci alla comunità musulmana sunnita, emarginata e ammazzata per tutti questi anni. Occorre intraprendere un cammino di riconciliazione, di dialogo, di apertura. Abbiamo vissuto insieme per 1400 anni, ricordiamocene. E poi ci tengo a dire che questo Natale è una grande porta di speranza. Se la Siria arriverà a vivere veramente in pace, sarà una speranza anche per l’Ucraina, il Sudan, lo Yemen, per tutti i Paesi che soffrono a causa della guerra. Sarebbe l’inizio di una nuova fase della storia umana.
(Federico Ferraù)
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