È indipendente solo dal 2011 e forse paga ancora questa sua gioventù istituzionale. Il Sud Sudan deve far fronte, come altri Paesi africani, ai problemi delle contrapposizioni tribali, che rischiano di riaccendersi, ha un terzo della popolazione sfollata a causa della guerra o delle inondazioni, ma può puntare anche sui suoi giovani, visto che la metà degli abitanti è sotto i 21 anni. Sono loro, spiega Christian Carlassare, vescovo di Rumbek in Sud Sudan, la forza del Paese, anche se hanno aspettative alle quali spesso non corrispondono adeguate opportunità.
La comunità cristiana sta cercando di dare il suo contributo allo sviluppo attraverso l’istruzione, la cura della salute e l’opera di riconciliazione. Senza dimenticare, naturalmente, l’evangelizzazione, con un’attività rivolta in particolare a giovani e alle famiglie. Un percorso di redenzione che può essere lungo e difficile, ma che prende nuova forza dal Natale.
La realtà di diversi Paesi africani è segnata dalle contrapposizioni tribali che spesso porta a situazioni in cui la violenza la fa da padrona. Lei stesso ne ha fatto le spese con l’attentato di cui è stato vittima. Ora nel Sud Sudan prevalgono ancora queste incomprensioni? La riconciliazione e la convivenza pacifica sono possibili?
Il mondo appare sempre più polarizzato e diviso. La globalizzazione ha interessato più i mercati e internet che promosso il reale incontro dei popoli. A tutte le latitudini si sente lo slogan: prima il nostro gruppo. In Sud Sudan abbiamo 64 gruppi etnici che hanno tra loro grosse differenze sia di lingua che di cultura e stile di vita. La gente sa come vivere insieme nonostante le diversità. In generale c’è molta tolleranza. Ma si fa presto a polarizzare la gente a partire dai propri pregiudizi e dalle narrative negative sugli altri gruppi etnici. Le incomprensioni, dunque, permangono e possono facilmente sfociare in violenze insensate e incontrollate. La riconciliazione è un cammino in salita che vale la pena percorrere.
Il Sud Sudan è la più giovane nazione d’Africa, quanto questa sua caratteristica rappresenta una risorsa per lo sviluppo? C’è la possibilità di corrispondere alle istanze di una popolazione che per la sua età dovrebbe avere l’energia giusta per rilanciare il Paese?
È la più giovane nazione d’Africa e allo stesso tempo con una popolazione molto giovane, la metà ha meno di 21 anni. È certamente la risorsa più importante del Paese. Lo si percepisce subito specie per noi abituati alla nostra vecchia Europa. L’Africa ha le porte aperte per il futuro. Ha entusiasmo e speranza. Cose che abbiamo quasi perso in Europa. Purtroppo, però tutte le risorse possono essere sperperate. Spesso i giovani non hanno le opportunità di cui avrebbero bisogno: cure mediche, istruzione, spazi per comunicare e lavoro. I giovani sono spesso manipolati da gruppi di potere, a volte anche armati per combattere, e traditi due volte, quando perdono la vita per l’egoismo di pochi.
Guerra, povertà e fughe per lasciare luoghi poco sicuri e trovare zone di residenza più favorevoli alla ricerca di cibo: l’immagine di un Sud Sudan costretto continuamente a spostamenti e trasferimenti anche in seguito a inondazioni ed eventi climatici corrisponde alla realtà?
Un terzo della popolazione risulta sfollata o a causa del conflitto 2013-2019, o a causa di inondazioni e crisi umanitarie. Nell’ultimo anno abbiamo anche ricevuto molti rifugiati dal Sudan. Molti di loro sono sud sudanesi che ritornano dopo aver perso tutto. A questa latitudine si nota di più quanto il mondo sia in movimento perché manca la pace e le condizioni per vivere dignitosamente.
Come si muove la comunità cristiana in una società che manifesta il bisogno di aiuto sotto tanti punti di vista? Come cerca di aiutare la gente e a che cosa dà priorità nella sua opera?
Tra le tante attività della diocesi possiamo riconoscere quattro pilastri portanti. Il primo più importante è l’evangelizzazione che ha le due ali della pastorale giovanile e la pastorale familiare. E tutto si regge sulla formazione dei laici che sono di riferimento per le tantissime cappelle senza prete. Il secondo pilastro è l’istruzione come unico vero strumento per la liberazione del popolo e trasformazione del Paese. Il terzo pilastro è il ministero di giustizia e pace che mira alla riconciliazione delle tante divisioni e ferite presenti in Sud Sudan. Il quarto pilastro è lo sviluppo umano integrale attraverso la cura della salute, così importante, e progetti che mirano a una economia locale di auto-sostenibilità.
Il Sud Sudan è un Paese giovane non solo dal punto di vista della popolazione: è indipendente da poco più di dieci anni. È già sufficientemente strutturato come Stato o commette ancora qualche errore di gioventù?
C’è una costituzione provvisoria che non è ancora stata ratificata e quindi mi sembra di poter dire che il Paese deve ancora fare un lungo cammino per mettere in atto tutti quegli strumenti di partecipazione e comunione di cui la nazione avrebbe bisogno. Quindi non solo peccati di gioventù, ma delle fragilità concrete come anche solo la divisione dei tre poteri, in un paese dove il parlamento sembra avere più un ruolo consultivo che altro, e il governo ha fortissimi poteri in tanti ambiti. Il Sud Sudan, oltre alla divisione etnica, si trova a dover affrontare problemi molto concreti sull’area amministrativa, dove la corruzione e il nepotismo sembrano farla da padroni.
Spesso l’Africa subisce l’ingerenza degli stranieri, non solo occidentali o europei. Anche per il Sud Sudan è così?
Come molti Paesi africani, il Sud Sudan vuole sentirsi autonomo, ma tante scelte economiche sono dettate dal mercato mondiale e non dalla ricerca del bene dei cittadini. Così è per lo sfruttamento del petrolio che rappresenta l’85% del Pil. E per tutti i prodotti che vengono importati, troppi, perché c’è una produzione interna molto povera. Pesante è la ferita lasciato dal mercato delle armi, soprattutto quelle leggere, molto presenti lungo tutto il territorio.
Il mondo sta vivendo sempre più in guerra, quelle più seguite in Occidente e quelle che spesso vengono dimenticate dalla comunità internazionale: quale messaggio può arrivare dal Natale di fronte a questa conflittualità che sembra aumentare?
Il Natale ci mostra il percorso di Dio per redimere l’uomo. Non importa quanto lungo e arduo sia questo cammino, Dio salva l’uomo attraverso l’uomo facendo riscoprire la natura della propria umanità da non essere mai rifiutata, ma accolta come luogo esistenziale dove l’opera di Dio si manifesta.
(Paolo Rossetti)
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