Betlemme chiusa e senza lavoro, Gaza distrutta dalle bombe, la Cisgiordania in difficoltà e segnata dagli scontri con l’esercito israeliano. La Terra Santa risente del conflitto che sta mettendo contro per l’ennesima volta Israele e Palestina, tanto che diventa impossibile anche inviare aiuti alle popolazioni della Striscia che vivono sotto i bombardamenti. La guerra che chiude gli spazi alla solidarietà induce alla sfiducia e rovina la convivenza fra popoli diversi.



Come spiega padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, anche in momenti come questo bisogna puntare sulle esperienze di condivisione. Come quella della scuola di musica Magnificat, frequentata da un gruppo di cristiani, ebrei e musulmani, che prima delle feste si sono esibiti in città italiane. I 900 cristiani di Gaza e quelli della Cisgiordania pagano anche loro a caro prezzo le difficoltà di movimento e di reperire cibo. A Betlemme risentono della mancanza di turismo, in una città che non potrà organizzare tutte le manifestazioni che di solito la caratterizzavano in questo periodo: vengono garantiti solo i riti religiosi.



In un contesto simile padre Faltas ricorda le parole di Papa Francesco: “La guerra è sempre una sconfitta”. E rivolge un appello ai potenti del mondo perché trovino soluzioni concrete che portino alla pacificazione.

La Palestina sta vivendo uno dei momenti più brutti della sua storia, fatto di dolore e di sofferenza: come è possibile vivere il Natale in un Paese in guerra? Come lo vivranno Betlemme e i suoi abitanti quest’anno?

Betlemme è stata chiusa a causa della guerra, se prima era difficile per i betlemiti uscire, ora è praticamente impossibile. A Betlemme è nato il Principe della Pace, il Salvatore, ma per rispettare le tante vittime della guerra per questo Natale saranno celebrati solo i riti religiosi. L’accensione dell’albero nella piazza della Mangiatoia, i mercatini, le luminarie, gli spettacoli e tutti gli eventi non ci saranno ad unire un’intera città e i tanti pellegrini che arrivavano a Betlemme per il Santo Natale. Purtroppo la Terra Santa è da sempre una terra martoriata da conflitti e da tensioni ma dal 7 ottobre viviamo questa situazione di guerra che non è paragonabile ad altri periodi. Si vive male ovunque ci sia la guerra, la gente di Betlemme soffre e sta perdendo la speranza. Sarà un Natale vissuto nella Speranza della Pace. La città è vuota e chiusa, mancano i pellegrini e di conseguenza manca il lavoro, soprattutto per i cristiani da sempre impegnati nel settore del turismo. A Gaza la situazione è terribile, ma anche la Cisgiordania sta vivendo nella sofferenza e nella distruzione della guerra. Sarà un Natale diverso perché la guerra è presente in ogni momento della vita quotidiana dei betlemiti, ma non per questo non dobbiamo annunciare al mondo che il Dio della Pace è nato a Betlemme!



La Custodia della Terra Santa si è sempre impegnata in iniziative per unire israeliani e palestinesi. In una situazione come quella attuale, che aumenta le divisioni, riuscite ancora a mantenere i contatti tra i due popoli? Ci sono dei momenti di condivisione che nonostante il conflitto continuano?

Da 800 anni, la Custodia di Terra Santa è impegnata ad aiutare gli abitanti di questa area a vivere e a convivere pacificamente. Abbiamo offerto lavoro, istruzione, alloggi, sostegno.  Non facciamo distinzione di nazionalità o di credo religioso. Come durante la pandemia, cerchiamo di mantenere i posti di lavoro e di garantire gli stipendi. Sono direttore di 18 scuole di Terra Santa e le nostre scuole sono frequentate da cristiani, ebrei e musulmani. La scuola di musica Magnificat ha insegnanti e studenti delle tre religioni. Recentemente sono stato in Italia ad un concerto della scuola Magnificat che era in tournée in varie città con un gruppo che comprendeva cristiani, ebrei e musulmani. Prima era più facile mantenere queste relazioni, nonostante le difficoltà sociopolitiche, ma dopo il 7 ottobre sono tornate le tensioni e i rapporti fra persone che prima condividevano spazi e momenti comuni, si sono interrotti a causa della guerra.  Ma noi Francescani della Custodia di Terra Santa continuiamo e lavoriamo per favorire la Pace fra i due popoli. Lo facciamo convinti che la pace è possibile, anche se viviamo il buio della guerra.

Come vivono i cristiani in questo momento drammatico, quelli che sono nei territori in cui si combatte e quelli nelle zone che non sono colpite da bombardamenti? La guerra ha cambiato i rapporti con gli ebrei e i musulmani?

I cristiani sono una minoranza ma hanno la stima e il rispetto da parte di tutti. A Gaza i 900 cristiani della città in massima parte sono ospitati dalla parrocchia latina ma mancano beni essenziali e gli spazi sono ristretti. In Cisgiordania, pur non avendo le stesse difficoltà di Gaza, i cristiani hanno ugualmente una vita difficile, non hanno possibilità di movimento, manca il lavoro, spesso ci sono scontri con l’esercito israeliano, ci sono anche tanti morti, tanti feriti, tanti arresti. La tensione è tanta e ha cambiato i rapporti e le relazioni. Non è una guerra di religione, ma ormai la sfiducia reciproca non favorisce una convivenza pacifica fra i due popoli. Speriamo che presto tutto finisca e che si possa cominciare a pensare a come aiutare questi popoli a superare, fisicamente e moralmente, i traumi profondi causati dalla guerra e a ricominciare a vivere in un clima sereno, con la possibilità di difendere prima di tutto la vita umana.

In un momento di bisogno per molte persone, in cui è difficile anche portare aiuti a chi è in difficoltà, ci sono iniziative di solidarietà per chi vive sotto le bombe e non ha più una casa? È possibile fare qualcosa per loro?

La guerra ha bloccato ogni forma di aiuto a Gaza. Gli aiuti umanitari che riescono ad arrivare sono insufficienti per chi è sopravvissuto a più di due mesi di guerra. Siamo custodi delle Pietre della Memoria, cioè dei Luoghi Santi, ma anche delle Pietre vive, cioè delle persone che li abitano. Come Custodia di Terra Santa riusciamo ad arrivare a portare aiuti in Cisgiordania dove siamo presenti con varie comunità. Abbiamo difficoltà ma cerchiamo di aiutare, anche se non è facile e dobbiamo ringraziare i benefattori che ci sostengono nelle nostre opere.

Che riflessioni suscita il Natale davanti ai morti e alle distruzioni che sembrano non finire? Qual è il messaggio che deve uscire da queste feste natalizie, per tutti e in particolare per chi ha la responsabilità della politica?

Le riflessioni e le considerazioni sono tristi e negative. Umanamente si sente il peso della sconfitta perché la guerra è sempre una sconfitta, come spesso dice Papa Francesco. Sembra che i suoi appelli siano caduti nel vuoto ma, come il Santo Padre ci chiede, non possiamo perdere il dono della Speranza. Il tempo liturgico dell’Avvento è il tempo dell’attesa verso la Gioia del Santo Natale. Da anni chiedo alla politica e alla comunità internazionale di riprendere il dialogo e di arrivare a soluzioni concrete di pacificazione fra questi due popoli. Continuo, e non mi stancherò mai, a fare appello alle coscienze dei potenti del mondo perché si fermino le armi e perché questa guerra finisca al più presto. Gesù Bambino porti la pace tanto desiderata alla Terra Santa e al mondo intero!

(Paolo Rossetti)

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