Borys Gudziak, arcivescovo cattolico, è arcieparca metropolita di Filadelfia (Usa). Nato da genitori ucraini cattolici di rito greco, studioso di lingue slave, esperto del mondo orientale, ha diretto per dieci anni l’Istituto di storia della Chiesa di Leopoli, dal 1992 al 2002, quando è diventato rettore dell’Università Cattolica Ucraina. Dopo essere stato esarca apostolico dei fedeli ucraini residenti in Francia, papa Francesco lo ha nominato eparca di Filadelfia.
Un pastore tra due mondi, dunque, quello occidentale e quello orientale. Gudzyak usa parole senza appello per condannare l’invasione russa dell’Ucraina e non meno severe sono quelle che riserva alla Chiesa Ortodossa russa: “Tutti noi dovremo affrontare l’ultimo Giudizio e voi fratelli e sorelle russi dovete assumervi la responsabilità per ciò che migliaia di russi stanno facendo in Ucraina”. Con Papa Francesco, dice che la pace è impossibile senza giustizia, ed esorta tutti gli stati a fare muro contro l’oppressore. “I cristiani ucraini non cercano conquiste e non vogliono niente di ciò che è russo. Stanno difendendo la dignità ricevuta da Dio”.
Con lui abbiamo parlato anche della fede in Occidente. Se la scristianizzazione (“umiliazione”) che il cristianesimo sta vivendo in Occidente è abbracciata con fede, dice Gudziak, “ci saranno nuovi segni di vita”. Non sotto le bandiere dell’imperialismo, ma della grazia di Dio: “in nessun luogo è impossibile per Dio operare”.
Monsignor Gudziak, la sua storia e il suo ruolo di pastore la mettono nella posizione di sentire e capire, più di tanti altri negli Stati Uniti, la sofferenza del popolo ucraino. Che lezione trae dalla sua esperienza?
Questa guerra è una tragedia sconvolgente, ma non completamente inaspettata. Ha chiari precedenti ed era prevedibile, è la triste continuazione di ciò che è successo ripetutamente per più di tre secoli. Nella mia storia familiare sono cresciuto con racconti sull’occupazione russa, guerre mondiali e genocidi totalitari, con perdite nella mia famiglia e a livello generale, nazionale. Nel ventesimo secolo, 15 milioni di persone sono state uccise in terra ucraina, tra di loro anche membri della mia famiglia. I miei genitori sono fuggiti dai russi nel 1944. Ogni Natale, delle riunioni familiari facevano parte racconti di morte e di separazioni. Avevamo il desiderio di incontrare i nostri cugini nell’Unione Sovietica, ma era impossibile.
Qual è il motivo di tanto male?
Le tragedie del passato erano in gran parte un risultato dell’imperialismo russo, come lo è questa guerra. Come i bianchi proprietari di schiavi, i padroni coloniali francesi in Nord Africa, i conquistatori spagnoli in America Latina, gli imperialisti britannici che pretendevano territori in tutto il mondo, i russi tuttora credono di poter essere padroni di qualcun altro. I tempi sono cambiati, ma l’imperialismo russo continua ad uccidere. Oggi gli ucraini hanno capito che devono far finire una volta per tutte le pretese coloniali della Russia sull’Ucraina, altrimenti vi sarà un’altra occupazione, ci saranno più crimini contro l’umanità e ci sarà un genocidio.
È difficile per chi non sperimenta la durezza della guerra accettare parole dure su “imperialismo”, “colonialismo” e “repressione”. Per molti non sono sufficienti neppure le immagini di Bucha, Bakhmut, Irpin e Izyum. Sono devastanti realtà che nel nostro peccaminoso mondo devono essere decisamente contrastate, altrimenti le tragedie si espandono e si moltiplicano. I genocidi sono reali e accadono se le persone oneste non vi si oppongono. Dio ci salvi da queste indicibili situazioni.
Cosa direbbe ai fedeli ortodossi russi, sia a quelli che sono in disaccordo, sia a quelli che sono d’accordo con la guerra russa contro l’Ucraina?
Tutti noi dovremo affrontare l’ultimo Giudizio e voi fratelli e sorelle russi dovete assumervi la responsabilità per ciò che migliaia di russi stanno facendo in Ucraina. Putin non è solo al fronte, è appoggiato dal 70 per cento dei russi. Ci sono decine di migliaia di cittadini russi che stanno uccidendo gli ucraini. Soldati russi stanno castrando prigionieri di guerra, stuprando donne. Programmatori russi stanno guidando i missili che distruggono le città ucraine. In Russia, purtroppo, c’è un largo consenso a questa guerra. Settecento rettori di università russe hanno firmato una dichiarazione in suo appoggio, la Chiesa Ortodossa russa sostiene pienamente l’aggressione. Solo 300 membri del clero russo, su 40mila, hanno sottoscritto proteste contro la guerra. Il Patriarca Kirill e molti vescovi e sacerdoti parlano con un linguaggio da jihad ortodossa. Tutti gli ortodossi e tutti i russi che non operano attivamente contro questa guerra sono responsabili delle sue conseguenze.
La Chiesa Ortodossa ha scelto o ha dovuto adottare un approccio molto patriottico e centralista, diventato ancor più forte dopo la guerra. Ma la fede e gli uomini di fede non sono chiamati a benedire le guerre. Dove possiamo trovare, se c’è, una risposta a questa sottomissione al potere politico?
C’è un bisogno di conversione. La posizione della Chiesa Ortodossa russa non è patriottica, è imperialista. Negli ultimi decenni, tutte le confessioni cristiane hanno fatto ammenda per il loro passato coloniale. È una triste verità che le Chiese cristiane sono state usate dagli Stati, talvolta volentieri, in progetti coloniali che hanno schiavizzato e devastato popoli e culture. Noi pensiamo che questo sia qualcosa del passato. Purtroppo, davanti ai nostri occhi, la Chiesa Ortodossa russa sta usando le parole del Vangelo, le prediche, i gesti della preghiera e le immagini delle icone per glorificare il colonialismo imperialista, per giustificare uccisioni e crimini di guerra. Il linguaggio del Patriarca Kirill quando parla ai suoi fedeli è simile al linguaggio dei radicali islamisti: se morite in questa guerra (mentre uccidete ucraini) i vostri peccati saranno assolti e andrete in Paradiso. Questo linguaggio e questo atteggiamento sono scandalosi e stanno portando alla totale perdita di autorità morale e credibilità della Chiesa Ortodossa russa. La ripresa da questo auto-dissacrazione, predicando un anti-Vangelo e portando il popolo russo sulla strada della perdizione morale, richiederà parecchi decenni, proprio come lo richiese la collaborazione delle Chiese tedesche con il regime nazista.
Lei ha detto, di recente: “È tempo di rinnovare e rinforzare la nostra preghiera, difesa e aiuto nel sostenere la difesa della democrazia e della verità biblica in Ucraina e nel mondo. Noi stiamo con Davide contro le pretese di Golia. Noi stiamo con Cristo Crocefisso che era sempre vicino ai poveri ed emarginati”. Può la fede cristiana essere per la patria senza essere nazionalista? In che modo?
I cristiani ucraini non cercano conquiste e non vogliono niente di ciò che è russo. Stanno difendendo la dignità ricevuta da Dio, le loro famiglie, le loro vie, le loro città, i posti di lavoro, gli ospedali, le scuole e le loro chiese e luoghi di culto. Vogliono il ladro fuori dalle loro case. Nessun negoziato fino a quando non se ne sarà andato. Non è nazionalismo voler vivere come Dio ha voluto, in libertà e dignità. Un patriota è qualcuno che si sacrifica per i suoi vicini e per il popolo della sua terra. Gli ucraini stanno sacrificando le loro vite proprio per questo. È difficile tenere il proprio cuore libero da odio e rabbia, e suona innaturale farlo quando si è attaccati. Noi possiamo difenderci in un modo motivato dall’amore solo con la grazia di Dio. Per me, solidarietà, sussidiarietà, interesse per il bene comune e protezione per la dignità umana data da Dio – così evidente in Ucraina – sono segni che la gente sta vivendo, resistendo al male secondo i principi definiti dalla dottrina sociale cattolica.
È estremamente difficile capire per chi non è vicino a questa sofferenza. Gli ucraini sono scandalizzati quando sentono dire in Occidente, in Italia e in movimenti cristiani “I russi vogliono la vittoria. Gli ucraini vogliono la vittoria. Ma noi vogliamo la pace”. Questo è molto pretenzioso. Nessuno vuole la pace più delle madri, padri, figli, politici, uomini d’affari ucraini, che vedono decine di migliaia di loro concittadini uccisi, 3mila scuole e quasi 2mila ospedali danneggiati o distrutti, e 20mila chilometri di strade rovinate. Nessuno vuole la pace più dei 14 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case. Ma la pace è impossibile senza giustizia. Quelli che parlano di pace senza giustizia violano uno dei grandi principi che Papa Francesco ci spinge a conservare. Egli ci invita a non essere moralisti o astratti. Dobbiamo essere concreti, dobbiamo focalizzarci su quelli che sono vittime, poveri ed emarginati. La storia degli abusi sessuali insegna: le vittime devono essere messe al primo posto. Ci deve essere tolleranza zero per la violenza. Parlare di pace senza giustizia è un’astrazione. E non è neanche un’astrazione neutra, può diventare molto pericolosa e perfino criminale. Purtroppo, oggi nessuno conosce tutto questo meglio degli ucraini.
In questa situazione, come è possibile promuovere la pace, a partire dalla cessazione delle ostilità?
Dobbiamo pregare sempre, implorare Dio per la pace. Nella tradizione bizantina, nei vesperi, nei mattutini e durante la Divina liturgia si prega per la pace con una lunga litania. Una pratica di tutti i giorni. La pace è divina: noi peccatori non possiamo ottenerla senza la Grazia. La cultura della pace deve essere coltivata. Le strutture di pace nella famiglia, nella società e a livello internazionale devono essere incoraggiate. Il diritto internazionale è essenziale per salvaguardare la pace, le ideologie che conducono alla guerra devono essere identificate e condannate. Quando si fanno affari e si trascurano i principi morali, come fatto da molti Stati europei negli ultimi decenni (Wandel durch Handel, cioè cambiare attraverso il commercio), si finisce per incorrere in problemi. I principi necessari a mantenere il delicato stato di pace, specialmente i principi di giustizia, devono essere salvaguardati. Questo a volte richiede un costo che non si vuol pagare e si pensa di poter continuare a condurre immoralmente affari e politica, tralasciando la giustizia senza patire conseguenze. Alla fine, tutto questo porta a ciò che abbiamo in Ucraina e in Europa oggi e che avrebbe potuto essere evitato con politiche diverse e non così amorali. Il punto è cosa fare quando avviene l’aggressione, quando la legge di Dio e quelle internazionali vengono violate, quando la gente viene uccisa, quando viene perpetrato il genocidio.
E cosa risponde alla questione che ha appena posto?
Quando si sta combattendo direttamente contro i mali dell’imperialismo, come quello della Russia, c’è un modo chiaro e necessario di promuovere la pace: promuovere la sconfitta dell’aggressore. Il killer e i suoi omicidi devono essere fermati. Se la Russia occupa l’Ucraina, potete essere sicuri che ci sarà poi l’aggressione alla Polonia, ai Paesi baltici, a Georgia, Kazakhstan e Moldavia. Ciò significa che polacchi, italiani, francesi e britannici saranno costretti dai trattati a difendere le prossime vittime. Americani, canadesi e turchi dovranno inviare truppe. La forza della difesa ucraina ha già reso meno probabile un attacco cinese contro Taiwan e il sacrificio di decine di migliaia di vite fatto dagli ucraini sta allontanando, o diminuendo, la probabilità di una proliferazione nucleare. Se l’Ucraina perde questa guerra, potete essere sicuri che un numero maggiore di Stati svilupperà armi nucleari. Nel 1994 l’Ucraina aveva il terzo arsenale nucleare del mondo, con più testate che Cina, Francia e Regno Unito insieme. Ha ceduto il suo armamento nucleare con garanzie per la sua indipendenza e integrità territoriale, sottoscritte da Russia, Stati Uniti e Regno Unito. Oggi, Paesi che stanno sviluppando armi nucleari o ci stanno pensando, si chiedono: “Cosa è successo alle garanzie date all’Ucraina?” Se alla Russia viene concesso di conquistare l’Ucraina, altri dittatori e sistemi totalitari vedranno che viene condonato possedere un arsenale nucleare e un grande esercito e usarlo per fini di conquista.
È chiaro che la pace futura richiede una profonda conversione spirituale in Russia. La patologia del colonialismo deve essere denunciata e condannata in un processo tipo Norimberga e i russi, come i tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale, devono pentirsi e ripagare i danni provocati. Altrimenti, i malfattori rimarranno convinti della loro correttezza, della loro barbarie. Sono parole dure, ma è cruciale capire che stiamo parlando della dignità, della vita e morte di milioni e stiamo parlando di principi divini. L’innocente deve essere protetto. Infine, queste sono le parole della Bibbia: “Il vostro sì sia sì e il vostro no sia no. Il di più viene dal Maligno” (Mt 5, 17-37). Papa Francesco a proposito dell’Ucraina ha detto: “Chi non difende se stesso è simile a uno che commette suicidio”. Tanto più è vero se uno difende altri che sono vittime innocenti.
La guerra è un’altra fonte di divisione che sta sperimentando la cristianità. Come si può rilanciare il dialogo tra le varie denominazioni cristiane orientali?
Il dialogo tra cristiani può essere autentico e fruttifero solo se fondato su una vita spirituale autentica. Così come vari scandali nella vita delle Chiese di Occidente, così lo scandalo dell’ortodossia imperiale sta dimostrando il vuoto che può minare la vita della Chiesa. Se nel dialogo una parte è spiritualmente fallita, c’è poco da sperare in un esito positivo del dialogo. È necessaria una profonda ripresa dei fondamenti della vita cristiana, secondo l’esempio di Gesù Cristo. Credo che Papa Francesco ci stia richiamando a questo. L’attenzione alle vittime, ai poveri, agli emarginati è l’esempio di Gesù che il Santo Padre sta enfatizzando.
Mentre i “fratelli” si stanno combattendo, un nemico più potente è alle porte; l’onda della secolarizzazione diventa sempre più forte ovunque, anche ad est di Vienna. Cosa significa oggi accettare la sfida che viene dalla fine della cristianità occidentale?
La cristianità occidentale non sta finendo, ma è senza dubbio in crisi. È in discesa e umiliata, ma se questa umiliazione è abbracciata con fede ci saranno nuovi segni di vita. La Chiesa è molto giovane, ha solo 2mila anni. Secondo gli astronomi, il nostro mondo ha quasi 14 miliardi di anni e in questa storia 2mila anni sono un microsecondo. Non sappiamo quanti secoli o millenni abbiamo di fronte a noi. La Chiesa è il Corpo di Cristo, è il Corpo che ha subito la crocifissione ma ha anche goduto della Resurrezione. Il Corpo di Cristo, di cui fanno parte tutti i battezzati, è sorto, Cristo è asceso col corpo e siede alla destra del Padre. In Cristo, misticamente e spiritualmente, noi siamo già in parte là. Il Corpo di Cristo è immortale, la Chiesa è immortale. Le nostre ansie e paure servono ben poco per aumentare la nostra vita spirituale.
Con ciò non si vuole idealizzare o negare i paradossi, i fallimenti e le reali difficoltà che sta affrontando la Chiesa in Occidente. Anche in altri continenti vi sono molti problemi, non esiste nessun luogo o tempo che abbia il monopolio delle virtù o dei vizi. Il Signore nel Suo Spirito opera ovunque, in nessun luogo siamo destinati alla condanna e in nessun luogo è impossibile per Dio operare. A volte consideriamo la Chiesa come se fosse un nostro progetto. Quando facciamo così diventiamo depressi davanti alle nostre colpe, ai nostri fallimenti, al tormento della guerra, della povertà e dell’ingiustizia, che sono parte della condizione umana. “Il nostro progetto” è spesso del tutto patetico.
Siamo chiamati a vivere come parte del Corpo di Cristo, a dare noi stessi completamente al Signore, a preoccuparci di meno e a credere che il Signore si prenderà cura di ogni cosa. Questo non nega la nostra partecipazione alla croce, ma promette la resurrezione. Se viviamo questa promessa, siamo capaci, anche nella nostra via crucis, di essere in pace e gioiosi: i martiri e i santi lo hanno dimostrato. Madre Teresa ha assistito i più miseri, circondata da bisognosi, malati, moribondi, si è immersa nella più profonda sofferenza umana, ma effondeva pace e gioia. Quando dico queste cose, sto in primo luogo predicando a me stesso, perché mi preoccupo troppo dei “miei progetti”.
Oggi, molti che in Ucraina rischiano la loro vita per difendere gli innocenti hanno fiducia nella vita eterna, cosa sorprendente per quanti vivono secondo il culto della comodità, della realizzazione e difesa di se stessi. L’Ucraina oggi è l’epicentro di un cambiamento globale, non solo politico ed economico, agricolo e ecologico: è un cambiamento antropologico. In un’epoca dove tutto è commercializzato, in un tempo caratterizzato dalla destrutturazione e dall’etica della post-verità, uomini e donne sono pronti a sacrificarsi per la verità. Facendo una netta distinzione tra bene e male assoluto, tra vero e falso, disposti a rischiare le loro vite per questo. Una simile testimonianza non può che essere benedetta da Dio e vediamo che è così: il biblico Davide sta di fronte a Golia e qualcosa di impossibile sta accadendo.
Il Natale è un evento inimmaginabile da un punto di vista umano, è una iniziativa gratuita di Dio. Cosa ci può far vedere Dio bambino nel modo in cui lo hanno visto i pastori e accoglierlo facendogli spazio dentro di noi?
Il Figlio di Dio è nato a Betlemme, nel buio, in un posto isolato e pericoloso. Il luogo è al contempo reale e simbolico, specifico e totalizzante, parla a noi dove siamo e nel nostro tempo, alle nostre preoccupazioni, ai nostri dubbi, alle nostre paure. Giuseppe e Maria avevano grandi motivi di ansia e le icone orientali della Natività rappresentano Giuseppe come un uomo segnato dalla preoccupazione. La morte era in agguato, Erode stava uccidendo bambini per raggiungere i suoi scopi. Tutto questo viene vissuto oggi in Ucraina e in molti altri posti. Gesù sta arrivando a queste nostre Betlemme.
Il suo avvento e il suo incontro con l’umanità sono reali e non esclusivi in termini geografici. Il Signore viene là dove c’è oscurità, paura, assenza di dimora. Lì deve essere trovato. I pastori erano tra i più umili nella società. Attraverso di essi, Dio ci dà un segno: sii umile e io nascerò davanti a te, nel tuo cuore. Apri i tuoi occhi spirituali per vedere la stella, le tue orecchie spirituali per sentire gli angeli cantare: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. I pastori erano poveri, ma sento che si sono avvicinati alla Sacra Famiglia per aiutare. Non lo fareste anche voi se sentiste il grido di un neonato venire da una grotta vicino a voi? Se siamo umili, se seguiamo la stella, cantiamo il canto degli angeli e avviciniamo chi è in bisogno per aiutarlo, incontreremo il Salvatore. È così che facciamo spazio a Gesù nelle nostre vite.
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