IL MONACO EREMITA SUL NATALE: “NELL’UOMO IMPARIAMO DIO”

Si chiama Francois Cassingena-Trevedy, è un monaco e scrittore francese, di fatto un eremita che vive nella regione del Cantal in Francia: per l’arrivo del Natale il quotidiano cattolico “La Croix” ha chiesto a diversi eminenti uomini di cultura un pensiero originale in merito alla solennità della Natività del Signore. Un Natale “solitario” solo di facciata ma in realtà retto dall’unico vero legame con l’eterno, quello con Dio: «La fuga dal mondo è anche nella tradizione spirituale. Non ho mai sentito così tanto la sensazione di aver lasciato
il mondo. Sono un naufrago sulle alture del Cantal. Un naufrago volontario».



Secondo il monaco raggiunto da “La Croix”, è la “frugalità” il vero significato profondo del Natale: sono queste le «le risorse offerte dalla tradizione cristiana e dalla sua liturgia in un momento in cui un freddo pungente sta attanagliando la Chiesa». È con l’uomo e la sua umanità che nel Natale «possiamo imparare Dio», sottolinea Cassingena-Trevedy che si autodefinisce un eremita “sociale”, «Tutti hanno capito subito che ero un sacerdote, che potevo celebrare la Messa. In un ambiente rurale, tradizionale e anziano, questo conta. C’è un’aspettativa, anche se la congregazione è composta solo da dieci o venti persone. Per me è una meraviglia».



LA FEDE E LA FELICITÀ: PARLA IL MONACO FRANCESE CASSINGENA-TREVEDY

Tornando sul tema della “frugalità” nella fede cristiana, il monaco Cassingena-Trevedy racconta un mondo «terribilmente ingiusto e siamo tutti colpevoli, tutti. Nessuno ha il diritto di abbondare senza limiti. Tutti devono avere accesso a questo cibo che ci fa vivere bene e in cui le relazioni umane sono così importanti». Quel “cibo” è l’amicizia, la frugalità, la vicinanza nelle radici più profonde e concrete della propria quotidianità: «La liturgia è uno dei fondamenti che tengono insieme la mia vita. Sono stato direttore di coro per dodici anni e conosco molto bene il repertorio gregoriano […] Oggi non ci conteniamo più: l’io, le cose traboccano. La liturgia contiene la realtà. E all’interno di questo quadro, di questi pilastri, si può costruire qualcosa».



Secondo il sacerdote-eremita-contadino, ci sono ancora oggi molti modi di dire Dio: «Per me questo è il problema principale di oggi. In cosa crediamo e cosa diamo da credere? “È diventato uomo? “Egli è Dio da Dio”, “consustanziale”, “il Padre onnipotente”, che cos’è? Tutto questo deve essere ritradotto, ripensato per onestà. Cerco di nominarlo così com’è, il meno possibile. Risolve le cose. È utile fare questo lavoro, trovare le parole per cercare di dire. Le parole sono sia sotto che oltre. È sempre meno di quello che vorremmo dire, ma anche le parole ci tirano. C’è qualcosa di profetico in ogni atto linguistico. Si dovrebbe scrivere solo quando c’è una vera urgenza». Con la venuta del Signore nella memoria viva del Natale, conclude Cassingena-Trevedy si riafferma il nodo originario del cristianesimo: «Basta poco per essere felici. Il lavoro delle mani e amicizia, è tutto ciò che è necessario. E Dio è accessibile, concepibile solo lì. Gesù, l’uomo che nasce, che soffre e muore, come si cantava nella Notte cristiana».