“Una tabula cum nativitate Domini Nostri manu Magistri Petri”: così si legge nell’inventario dei beni che alla morte di Piero della Francesca (1492) erano passati al nipote Francesco di Marco. È una Natività che era rimasta nella casa di famiglia del grande artista di Borgo San Sepolcro, perché con ogni probabilità la sua destinazione era privata, forse pensata per la cappella in cui sarebbe stato sepolto. Le cose sono andate diversamente: nel 1825 la tavola fu acquisita da un collezionista inglese e nel 1874 entrò nelle raccolte della National Gallery di Londra. Da allora ha affiancato un altro capolavoro di Piero, il Battesimo di Gesù.
Da 11 anni però la Natività era sparita dalle pareti del meraviglioso museo inglese perché sottoposta ad un importante restauro. Ora finalmente è ritornata al suo posto, ed è un quadro decisamente diverso da quello che si conosceva. Per questo si è scatenata una polemica, lanciata dal critico del quotidiano Guardian, Jonathan Jones. “Has National Gallery ruined a Nativity masterpiece?” è il titolo dell’articolo.
Facciamo un passo indietro: la Natività di Piero, secondo alcuni critici, era opera rimasta non conclusa. Roberto Longhi invece aveva imputato la condizione del dipinto a una drastica pulitura realizzata nell’Ottocento. I restauratori sono partiti proprio da questo presupposto e sono intervenuti cercando di avvicinarsi ad un’ipotetica situazione originaria, scelta che Jones ha pesantemente contestato.
Asteniamoci ora dalla polemica, per addentrarci nella genesi di quest’opera, che come tutte quelle di Piero ha alle spalle una struttura di pensiero densissimo. In questo caso la fonte è stata individuata nelle visioni di santa Brigida, la mistica nata in Svezia e vissuta ad inizio 1300: le stesse visioni erano all’origine di un’altra celebre opera arrivata a Firenze qualche anno prima, il Trittico Portinari di Hugo van der Goes. Il dettaglio del Bambino che tende le braccia verso la Madonna adorante deriva proprio da queste visioni. Piero poi fa riferimento ad un altro testo, la Legenda aurea, che nel paragrafo dedicato alla nascita di Gesù, immagina in questi termini ciò che era accaduto: “Mirabile è il fatto che la Natività di Cristo si sia manifestata attraverso tutte le creature dalle pietre agli alberi, alle erbe, agli animali, agli uomini e fino agli angeli che sono al sommo grado del Creato”.
In effetti nel quadro vediamo che la Natività si manifesta, oltre che nel coro degli angeli, anche nell’asino che raglia levando la testa verso il cielo o nel bue che si insinua tra gli astanti per avvicinarsi al Bambino. Nulla è estraneo all’avvenimento di quella Nascita, neppure l’erba e i cespi di fiori che vincono l’aridità un po’ ingrata della terra. È uno spettacolo che un insolito San Giuseppe osserva, stando seduto a gambe accavallate sulla sella, su cui aveva viaggiato fino a lì Maria incinta.
C’è poi un dettaglio ulteriore che rimanda alla narrazione della Legenda aurea: è il pastore in secondo piano, che alza il braccio indicando qualcosa nel cielo. Nella Legenda infatti si dice che l’imperatore Augusto era stato avvertito della nascita da una Sibilla, che gli aveva mostrato in cielo un cerchio d’oro intorno al sole. “Questo fanciullo è più grande di te, adoralo”, aveva aggiunto la Sibilla. Il pastore-Augusto sta proprio indicando quell’apparizione straordinaria, replicando la posa di una delle immagini più celebri dell’imperatore, l’Augusto di Prima Porta. Nel quadro il sole cerchiato d’oro non si vede, ma se ne vede il riflesso sul muro della capanna: il muro ha un biancore d’intensità sorprendente che proprio il restauro ha riportato alla luce, creando un po’ di sconcerto in osservatori come Jones. Ma quel bianco troppo acceso ha una sua ragion d’essere, se si seguono le probabili fonti del dipinto. Il Natale nella sua spiazzante semplicità, abbraccia tutta la complessità del cosmo, dal filo d’erba alle stelle. Ad un genio come Piero è bastato lo spazio di una tavola di poco più di un metro per lato per rendercelo evidente.
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