“Il messaggio del Natale è sempre lo stesso: Dio, che è da sempre alla ricerca dell’uomo, alla fine si è deciso a rompere ogni indugio, si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra noi. A Natale dobbiamo essere noi a farci trovare da Lui per riscoprire la nostra vera identità di uomini abitati da Dio”. Monsignor Pierbattista Pizzaballa, dal 24 giugno 2016 amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme e dal 2004 al 2016 167esimo Custode di Terra Santa, in vista del Natale ha da poco visitato la comunità cristiana di Gaza e conosce bene le difficoltà e le sofferenze che le popolazioni locali devono affrontare. Eppure non dà nulla per scontato: “A Gaza questo significa non rassegnarsi e rinunciare di sperare che le cose possano cambiare, che gli uomini siano solamente malvagi. Bisogna, insomma, anche a Gaza continuare a cercare l’uomo come immagine di Dio”.



La comunità cristiana di Gaza sta però vivendo l’ennesima situazione drammatica.

La situazione a Gaza è drammatica: disoccupazione giovanile al 60%, chiusura ermetica della Striscia, con pochissimi permessi, ma soprattutto la difficoltà a vedere la fine di questa grave situazione, che si protrae da anni. Insieme alla stanchezza evidente per questa situazione, ho visto però un forte senso di comunità e un atteggiamento non rinunciatario, ho visto persone che comunque continuano a impegnarsi, nelle scuole, nelle case per disabili, negli ospedali cristiani e nelle tante iniziative di sostegno e accompagnamento umano.



Il 2019 è stato anche un anno straordinario in fatto di numero di visitatori ai Luoghi santi. È un segnale di risveglio e di attenzione per la fede?

Non necessariamente. La maggior parte dei visitatori è composta da turisti religiosi più che da pellegrini. La priorità è la visita, senza escludere la preghiera. Mentre per il  pellegrino è l’opposto. Ci sono poi anche molte agevolazioni economiche e migliorate condizioni di vita per il mondo asiatico. Questo ha fatto sì che siano oggi maggioritari i turisti provenienti dall’Asia. Ma bisogna pur aggiungere che anche al turista più incredulo la visita nei Luoghi santi lascia sempre un segno, che non di rado cambia la vita.



Quest’anno si sono celebrati gli 800 anni del pellegrinaggio di pace di San Francesco, che nei luoghi di Gesù sostò fino al 1220 e incontrò il sultano d’Egitto Al-Malik Al-Kamil. San Francesco fu pellegrino di pace in Terra Santa, superando la logica dello scontro di civiltà e credendo nella possibilità dell’incontro fraterno. Un’apertura d’animo oggi sempre più necessaria con l’islam?

Con l’Islam e con chiunque altro. Nel caso dell’islam credo che sia una necessità sempre più urgente trovare canali di comunicazione, rapporti, dialoghi seri e sinceri per migliorare le nostre relazioni. Siamo ancora pieni, sia noi che loro, di stereotipi legati alle tensioni del passato: noi pagani e crociati e loro odiatori del cristianesimo. È sintomatico che per trovare un’immagine di incontro tra cattolici e islam dobbiamo andare indietro di 800 anni. Le emigrazioni e gli spostamenti di interi popoli, il miscuglio di identità religiose e culturali che si sta formando nelle nostre rispettive società ci obbliga a trovare forme di incontro, per non lasciare questo tema ai fanatici e radicali. Non ci sono alternative. Ma prima ancora che una strategia, è costitutivo dell’identità cristiana farsi prossimo, come si legge in Luca 10,36.

E come sono oggi i rapporti con il mondo ebraico?

I rapporti con il mondo ebraico sono iniziati molto tempo prima, per cui abbiamo fatto molti progressi, abbattuto molte barriere esistenti tra noi. Sul piano religioso le relazioni sono ottime. Nel mondo occidentale il cammino cresce sempre di più. Qui in Medio Oriente la questione politica legata alla vicenda israelo-palestinese rende le relazioni oggettivamente più complicate. Ma non rinunciamo.

Intanto continua l’esodo dei cristiani dalla Terra Santa. C’è da preoccuparsi?

Non abbiamo un vero e proprio esodo dalla Terra Santa. Se ci fosse un esodo, saremmo scomparsi già, visto che i nostri numeri sono piccoli. L’esodo purtroppo c’è stato da Siria e Iraq e dai paesi colpiti dalle tragedie mediorientali. Abbiamo comunque una lenta e continua emigrazione che certo ci preoccupa. La nostra storia ci dice che la Terra Santa non diventerà una sorta di Nord Africa, con solo i resti di un’antica civiltà cristiana. Qui il cristianesimo sarà sempre presente e vitale. Ma certo saremo sempre numericamente molto minoritari.

A febbraio, a Bari, si terrà l’incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei e che sarà concluso da papa Francesco. In Puglia arriveranno i pastori di tre continenti: Europa, Asia e Africa. Perché è importante che il Mediterraneo sia in pace?

Sul Mediterraneo, una sorta di grande piazza di acqua, si affacciano circa 500 milioni di persone e in quell’area si produce circa il 7% del Pil mondiale. Vi sono scambi commerciali intensissimi, interessi economici ed energetici, e perciò anche di potere, evidenti. Allo stesso tempo vi sono disparità, sia religiose che economiche, tra Nord e Sud del bacino. Il Nord è cristiano e ricco, il Sud è musulmano e povero. Sono molte, insomma, le questioni legate al Mediterraneo. Ma soprattutto esso è il contesto religioso e culturale che ha influenzato, e ancora oggi tiene legati a sé, miliardi di persone in tutto il mondo. Uno scambio, una conoscenza e una condivisione della vita di ciascuna chiesa è importantissima in questa fase di grandi cambiamenti. Abbiamo certamente molti elementi comuni, ma anche molte differenze. Dobbiamo conoscerci. Abbiamo bisogno di ascoltarci e poi eventualmente di darci alcuni orientamenti comuni e chiederci cosa ci viene chiesto, a noi credenti cristiani, in questo momento, in questa fase della vita del nostro territorio.

(Marco Biscella)