Natalia Aspesi si è iscritta nella risicata (e coraggiosa) lista di personalità che, da sinistra, si è permessa di criticare il Ddl Zan dopo l’affossamento al Senato degli scorsi giorni: prima però di addentrarci su cosa ha in effetti scritto su “Repubblica” la decana giornalista e scrittrice “liberal”, non vogliamo lasciar cadere nel vuoto la triste ammissione fatta da Aspesi contro la sua stessa “corrente politica”.
Parlando degli elementi inseriti nel disegno di legge contro l’omobilesbotransfobia tutt’altro che condivisi da Natalia Aspesi, la giornalista confessa, «Io me ne stavo zitta zitta perché avendo la sfortuna di essere di sinistra sin dalla nascita temevo che sussurrando il minimo dubbio sull’efficacia del balsamo Zan e sulla probabilità di ottenerne l’approvazione sarei stata bollata oltre che di Alzheimer, di fascismo, omofobia, transfobia con tutte le variabili». Invece che un semplice “passaggio” del suo editoriale, ci sembra invece il vero “turning point” di tutto il “J’accuse” contro l’apparato di sinistra. Essere in disaccordo, in democrazia e in un Paese con libertà di stampa, non dovrebbe essere un problema: anzi, potrebbe essere un modo costruttivo perché si possa arrivare a realizzare nel caso specifico un disegno di legge meno ideologico e più condivisibile. E invece Aspesi ammette che se per caso avesse detto qualcosa contro il Ddl Zan – come coraggiosamente, va detto, hanno fatto i vari Cerno, Renzi, Ricolfi – da sinistra sarebbe stata riempita di insulti e bollata per una “fiancheggiatrice fascista e omofoba delle destre”. Uno stupendo spot per una legge che nasce, in teoria, “contro l’odio”…
“SILENZIO SUL DDL ZAN SE NO MI DAVANO DELLA FASCISTA OMOFOBA”
Alla luce di quel passaggio, per noi ripetiamo fondamentale, ora rileggiamo quanto Natalia Aspesi contesta di quel disegno di legge che pure condivideva nelle battaglie di fondo: «quante di queste persone progressiste e non hanno avuto voglia di leggere per intero sia gli articoli di legge che le modifiche che il decreto Zan voleva, vuole apportare e prima o poi apporterà?». Per la scrittrice 92enne le grida del tipo “ci hanno tolto i diritti” non rendono un buon servizio alla verità dei fatti: Aspesi contesta che vi sia stato inserito nel discussissimo Ddl Zan i criteri “sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” per definire gli inasprimenti di pena contro chi discrimina. «Non bastava “sul sesso”, o “sull’orientamento sessuale”, sapendo che la parola gender, di cui io con molti altri non ho ancora capito il significato, fa imbestialire le autorità cattoliche, i profamilia e i “ci vogliono mamma e papà”?», si chiede. Secondo Aspesi ha ragione il parlamentare Pd Tommaso Cerno quando, coraggiosamente, si scaglia contro il suo stesso partito «non l’ho votata perché scritta male e perché ne andavano discusse modifiche che l’avrebbero fatta approvare». Natalia Aspesi non approva neanche il voler “ghettizzare” come vittime a prescindere gay, trans e lesbiche, «perché non si tiene conto che se io pestassi una non binaria direi che non sapevo che lo fosse e l’ho fatto perché aveva una maglietta con su scritto Dior e non è colpa mia se lo è». Infine, anche sulla scuola la proposta nel Ddl Zan sulla giornata obbligatoria contro le discriminazioni era tutt’altro che “pacifica”: «non mi fiderei; non è che tutti gli insegnanti in quanto tali la pensino così, non è che se gli viene in classe una bimba che vuole diventare bimbo e ne parla continuamente, sa come comportarsi».