I rapporti tra le generazioni sono sempre più decisivi sia a livello microsociale, nelle famiglie, che a livello macrosociale, nei rapporto tra gruppi sociali. Se infatti la vita quotidiana di tanti genitori adulti non può fare a meno del sostegno dei nonni (economico, relazionale, valoriale e di cura), è altrettanto rilevante il modo in cui le politiche pubbliche trattano le singole generazioni, distribuendo tra loro in modo più o meno equo le risorse pubbliche.



Nel confronto internazionale, per esempio, nel nostro Paese c’è un oggettivo sottodimensionamento delle risorse a favore di famiglie e minori, e un fortissimo spread a favore della spesa previdenziale. Salvo poi lanciare un sempre più preoccupato “allarme denatalità”, per cui “non ci saranno abbastanza persone in età da lavoro per pagare la pensione di chi in pensione ci è già arrivato”. Così, in genere nelle famiglie le relazioni intergenerazionali alimentano un circuito di reciprocità e di scambio, mentre nella società le stesse generazioni si trovano in competizione per l’accesso alle risorse (sempre più scarse) di welfare pubblico.



In questo scenario è particolarmente interessante uno studio recentemente proposto da Bankitalia nella collana “Temi di discussione” (n. 1.417), curato da Edoardo Frattola e presentato in inglese, con il titolo Parental retirement and fertility decisions across family policy regimes (Pensionamento dei genitori e scelte di fecondità nei diversi regimi di politiche familiari), che intende verificare se la scelta degli individui adulti di avere un figlio sia influenzata dall’età di pensionamento di uno dei loro genitori.

In particolare, l’articolo vuole verificare se l’effetto varia al mutare della generosità delle politiche pubbliche a sostegno delle famiglie e dell’intensità dei legami intrafamiliari. In altre parole: quanto conta, nella decisione delle giovani coppie di mettere al mondo un figlio, la presenza dei nonni a disposizione/in pensione? I dati utilizzati fanno riferimento a 11 Paesi europei (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera), nel periodo 2004-2018, e provengano dall’indagine Share (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe, Indagine su salute, invecchiamento e pensionamento in Europa). Gli Stati selezionati rappresentano tre diversi modelli di welfare in cui l’intervento economico pubblico, i servizi e le famiglie intervengono in modo differenziato nel sostegno agli anziani, alle famiglie, ai genitori e alla natalità. Emergono alcuni elementi significativi, sia pure di tipo esplorativo.



1. Un primo nodo è l’ambivalenza del momento del pensionamento, rispetto ai progetti di vita e genitorialità dei figli adulti e alle loro aspettative di sostegno dalle famiglie di origine. I dati suggeriscono che prima della pensione i giovani possono aspettarsi di essere meglio sostenuti economicamente dei propri genitori anziani, perché ancora titolari dei redditi da lavoro, mentre il pensionamento garantirebbe loro redditi inferiori, e quindi minori possibilità di sostenere i propri figli. Di converso, andare in pensione consentirebbe di fare affidamento sulla maggiore disponibilità di tempo, che li potrebbe aiutare nella cura dei figli piccoli. In generale, tempo e reddito sono due “beni scarsi”, per i giovani genitori (o per i giovani che lo vogliono diventare), e l’evento pensione potrebbe modificare il mix di sostegno che possono aspettarsi dalle proprie famiglie di origine.

2. Un secondo dato, abbastanza prevedibilmente, conferma che il pensionamento dei propri genitori anziani aiuta i figli nella decisione di mettere al mondo un figlio (in genere il primo, o anche un figlio in più) solo nei sistemi di welfare meno ricchi, quelli con meno servizi di cura, quelli in cui le reti familiari fanno la differenza per il welfare familiare: come il nostro Paese. Negli altri sistemi, dove la cura dei bambini piccoli è maggiormente garantita dai servizi, l’età di pensionamento non fa grande differenza.

Una conseguenza preoccupante di questo legame – trattata anche nell’articolo – è che questa correlazione fa sì che un ritardo nell’età pensionabile può avere un impatto diretto sulla natalità complessiva. Di fatto nonni in pensione più tardi significa anche nascite in età più avanzata dei figli, con conseguente minore possibilità di avere più figli, successivamente. Peraltro non tutti i nonni in pensione sembrano oggi disponibili a dedicarsi a tempo pieno alla cura dei nipoti (ma su questo l’articolo non offre particolari dati).

3. Un terzo elemento, particolarmente interessante, spiega infine alcune modalità/meccanismi con cui il momento del pensionamento diventa efficace verso la scelta di mettere al mondo un figlio. In primo luogo, un’eventuale nuova nascita avviene più o meno a distanza di due anni dal pensionamento: sembra emerge quindi un periodo di “attesa” o adattamento tra il pensionamento e la decisione di generare.

In secondo luogo, lo stato di salute dei nonni fa la differenza. Non devono essere presenti fragilità o vulnerabilità fisiche o cognitive nei nonni, per far sì che al pensionamento corrisponda una scelta generativa; il che è abbastanza prevedibile, dato che un anziano fragile non solo non è facilmente pensabile come risorsa di cura, ma può anzi diventare “bisognoso” di cura proprio da parte dei figli adulti, che proprio per questo bisogno potrebbero decidere di non mettere al mondo un (altro) figlio.

In terzo luogo (anche questo quasi banale) deve esserci una certa vicinanza geografica tra la residenza dei nonni e quella dei figli, altrimenti il pensionamento non genera alcun effetto pro-natalità. Del resto proprio nel nostro Paese la distanza media di residenza tra famiglie di origine e famiglie dei figli adulti è la più bassa a livello europeo; probabilmente anche per questa aspettativa di cura che i giovani genitori si aspettano da parte dei nonni verso i nipoti.

Da ultimo, l’influenza del pensionamento dei nonni sulle scelte generative dei propri figli è maggiore se si tratta del primo o al massimo del secondo nipote, mentre se sono già presenti altri nipoti, l’evento pensione dei nonni non sposta granché la natalità. Anche questo elemento non è sorprendente, perché probabilmente le scelte organizzative e di vita di anziani, figli adulti e nipoti si sono già assestate, in presenza di più nipoti.

Insomma, questa indagine conferma almeno due punti cruciali di cui tenere conto, se si vogliono adottare politiche generazionali e demografiche davvero efficaci: da un lato, tempo, reddito e servizi sono tutte variabili cruciali per aiutare i giovani nella difficile scelta di mettere al mondo un figlio, e questo esige un ripensamento radicale del nostro modello di welfare. Dall’altro, le relazioni intergenerazionali in famiglia si confermano un patrimonio di solidarietà dell’intero sistema di welfare, ma non possono essere date per scontate. E in questo patrimonio, la presenza degli anziani si caratterizza prima di tutto come una risorsa, e non come un “carico sociale” o un peso per il futuro del Paese. In tal modo, anche politiche di sostegno alla natalità devono e possono essere progettate ed intraprese non “contro” gli anziani, ma in alleanza, con una generazione di persone che non cessano di essere cittadini attivi, anche se in pensione.

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