Per due giorni hanno fatto in modo che il tema del calo demografico e della natalità diventasse una priorità, arrivando a raccogliere gli interventi di Papa Francesco e del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Così la Fondazione per la natalità e il Forum delle associazioni familiari hanno riportato all’attenzione il tema della famiglia. L’anno scorso sono nati 393mila bambini, record negativo di sempre. Tenendo conto dei decessi, oltre 700mila, è come se fosse sparita la popolazione di una città come Bari.
Eppure non sempre ci si rende conto della gravità del problema. “Siamo molto contenti – dice Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità – perché fino a ieri il tema della natalità veniva sviluppato semplicemente con il commento ad alcuni dati Istat che escono di tanto in tanto, poi tutto finiva lì. Stavolta siamo riusciti a bloccare il Paese su questi temi per due giorni”.
Qual è il bilancio degli Stati generali della natalità e quali sono le priorità definite dal dibattito?
Abbiamo messo il tema al centro del dibattito pubblico. L’altro obiettivo che avevamo era che non fosse un dibattito di parte, ma che riguardasse il sistema Paese, interessando non solo la politica ma anche le imprese, la banche, il mondo dello spettacolo, quello dei media. Poi abbiamo tirato fuori alcune proposte concrete, che sono state prese in considerazione, anche se vedo molta lentezza, soprattutto da parte del Governo: si continua a insistere su una questione culturale, senza capire che cultura ed economia sono collegate. Quando la seconda causa di povertà in Italia è la nascita di un figlio, quando riceviamo mail di gente che desidera sposarsi ma non ha la possibilità di acquistare una casa, non ha la possibilità di avere un contratto a tempo indeterminato e quindi vive una situazione di precarietà, hai voglia a parlare di cultura. Il desiderio di avere una famiglia c’è, ma c’è anche l’impedimento oggettivo.
In Italia il numero medio di figli per donna è di 1,24, ma i figli desiderati sono 2,4: allora non è vero che non c’è voglia di mettere su famiglia?
Questi dati li spiego da almeno sette o otto anni. Una ricerca dell’Istituto Toniolo dice che i giovani per il 90% reputano la famiglia importante. Se chiedi loro cosa vorrebbero rispondono: un lavoro, una famiglia, dei figli. E più dell’86% vorrebbe due o più figli. Bisogna metterli in condizione di vivere una vita dignitosa. Se fosse un problema culturale la battaglia sarebbe già persa, perché la cultura non la cambi in un anno.
Se non si interviene l’unico apporto alla crescita della popolazione verrebbe dall’immigrazione?
La soluzione è evitare l’emigrazione all’estero dei nostri figli, con politiche familiari che li attraggano, li facciano rimanere qui, e trovare una via all’immigrazione che sia ragionata, non ideologicamente schierata. Un po’ quello che ha detto il Papa: accoglienza e politiche familiari.
Il Governo una proposta per sostenere la natalità l’ha fatta: una detrazione consistente, inizialmente quantificata in 10mila euro, da garantire per ogni figlio, indipendentemente dal reddito. È la strada giusta?
È lì che bisogna insistere, su questo bisogna dare risposte concrete. Agli Stati generali ne ha parlato il ministro Giorgetti. Sono contentissimo che venga sostenuta questa idea, meno male: è la proposta delle famiglie da 70 anni. In Italia si pagano le tasse in base al reddito e non alla composizione familiare. E questa è una cosa iniqua, sbagliata.
Quali sono gli interventi allora che chiedete per sostenere seriamente le famiglie?
Prima di tutto l’assegno unico, migliorandolo, in secondo luogo una riforma fiscale che tenga conto della composizione familiare. Oltre al reddito va calcolato anche il numero dei figli, dando peso a questo elemento: è l’unica forma di giustizia fiscale. Viviamo in una situazione di discriminazione fiscale nei confronti delle famiglie. Le famiglie che aiutiamo adesso sono le stesse che un giorno pagheranno le pensioni e il sistema sanitario anche a chi non ha figli e resta solo.
Oltre ad assegno unico e riforma fiscale quali sono le altre priorità?
Sicuramente usare i fondi del Pnrr. Mettiamo tanti miliardi sulla digitalizzazione e non ci interessiamo dei nativi digitali. Mettiamo tanti soldi sulla sanità e non abbiamo riflettuto che magari avremo ospedali bellissimi, con grandi investimenti, ma poi la sanità sarà a pagamento, perché se non nascono più lavoratori è difficile sostenerla. Nel Pnrr si sta facendo un ragionamento sulle armi, facciamolo anche per la natalità.
Queste sono le fondamenta della casa; per finire di costruirla che cosa occorre?
Bisogna aiutare il lavoro femminile: lo smartworking fatto bene aiuta. Poi c’è il tema degli asili nido, dei servizi. Bisogna finanziare politiche aziendali che mettano le persone in condizione di conciliare lavoro e famiglia. Intervenire sui contratti di lavoro: se sei precario a vita non puoi prendere il mutuo, ma non puoi nemmeno progettare il tuo futuro. Costa? Sì, ma se crolla il sistema costa molto di più.
Le cose da cambiare sono molte, andrebbero modificati molti aspetti della nostra vita quotidiana. Un impegno che possiamo sostenere?
L’energia di un padre e di una madre è il valore aggiunto di questo Paese. C’è un’energia positiva enorme, che ti fa passare la notte sveglio, che ti fa tirar fuori il meglio di te e che va valorizzata. C’è da cambiare tutto, sì, ma è meglio cambiare che andare a 200 chilometri orari contro un muro.
Del resto sembra ormai una questione di sopravvivenza.
Bisogna darsi un obiettivo, che l’Istat ha definito in 500mila nuovi nati l’anno. Non possiamo parlare di natalità in termini astratti. Altrimenti non cambierà nulla e il prossimo anno avremo ancora meno figli. Faccio una previsione: quest’anno erano 393mila, il prossimo saranno 387mila.
Ma almeno sulla proposta di una detrazione consistente per ogni figlio vi sembra che il Governo abbia intenzione di procedere?
Ho fiducia che questo Governo abbia a cuore questi temi, non ho dubbi. Però bisogna veramente iniziare, siamo già in grande ritardo. È un tema che conosciamo da anni, eppure abbiamo dovuto fare noi da pungolo con gli Stati generali. Non possiamo continuare ad analizzare i dati Istat in maniera astratta: tra dieci anni ci saranno sempre più poveri, sempre meno welfare, sempre più anziani. I nostri figli vorranno andare all’estero, altrimenti rimarrebbero in un Paese vecchio in tutti i sensi, a farsi in quattro pagando sempre più tasse per sostenere un sistema che non ha voluto fare qualcosa.
Negli Stati generali non avete coinvolto solo le istituzioni ma anche, ad esempio, le aziende. Che ruolo possono avere gli altri attori della società per invertire la tendenza del calo demografico?
Si chiama sussidiarietà. Il Governo deve fare il Governo, le amministrazioni locali devono fare le amministrazioni locali realizzando asili nido, definendo le tariffe per le mense, occupandosi dei servizi alla persona. Le imprese devono fare le imprese, quindi interessarsi di welfare aziendale, mettere i genitori in condizione di conciliare lavoro e famiglie e tutti noi dobbiamo dare il nostro contributo.
Per quanto riguarda le aziende cosa si sta muovendo?
Partirà un progetto che si intitola “Nove mesi” che coinvolge la Fondazione per la natalità e il Forum delle associazioni familiari. Le imprese hanno chiesto un ranking del welfare aziendale finalizzato a famiglia e natalità: stiamo mettendo a punto criteri in collaborazione con l’università. Uscirà anche una sorta di Premio Oscar delle aziende family friendly, che considera anche l’aspetto pubblicitario e dei messaggi che vengono veicolati, perché è importante anche la narrazione che si fa delle famiglie.
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