Gli Stati Generali della Natalità, dopo l’evento nazionale di maggio, sono ripartiti nei mesi scorsi con un tour che ha toccato alcune delle principali città italiane, l’ultima delle quali Milano. Il format itinerante, diverso per ovvie ragioni dall’appuntamento classico, è pensato per rendere ancora più evidente il fatto che il problema demografico riguarda tutti. È una questione sì nazionale, ma le sue implicazioni riguardano gli stili di vita di ognuno; per sentirsi implicati basterebbe ad esempio ricordare, come sempre, il tema delle pensioni; chi le pagherà in futuro? Certo questa è una banale semplificazione: il tema è complesso e ampio e riguarda diversi ambiti, dalle istituzioni al mondo del lavoro, in particolare quello femminile, all’istruzione, alla sanità, alle spese familiari e altro ancora.



La Fondazione per la Natalità, organizzatrice degli Stati generali, pone la natalità non come un obiettivo da raggiungere per contrastare la crisi demografica sulla base di convinzioni ideologiche, ma al contrario basandosi sull’evidenza: a Milano l’Istat, per bocca del suo Presidente Chelli, ha parlato dei dati che presentano l’intenzione della maggior parte delle famiglie di avere almeno due figli, sogno che viene però infranto da diverse condizioni, da quelle lavorative a quelle economiche a quelle abitative.



Per fare un esempio concreto, una madre che lavora in un’azienda dove non viene concesso smart working o comunque non sono applicate politiche di welfare genitoriale, uno stipendio eccessivamente basso e una casa a Milano il cui mutuo è ancora da pagare, avrà delle difficoltà oggettive a gestire la presenza di bambini in famiglia, e non solo di carattere economico. Senza dimenticare che, nella situazione attuale, generalmente non basta avere un solo stipendio per famiglia. Ecco allora che il punto principale sul quale la Fondazione vuole investire è la libertà, trovando strade per far sì che chi vuole far figli sia messo nelle condizioni di poterli fare: non è un’opera di convincimento, quanto piuttosto il tentativo di portare il proprio contributo per rimuovere gli ostacoli che si pongono sulla strada delle famiglie che vorrebbero avere dei bambini ma che non possono per condizioni socio-economiche.



Uno dei tanti primi passi possibili è un’alleanza tra istituzioni e imprese, che può vedere la luce anche tramite gli Stati generali. Un altro passo è quello del tanto sognato quoziente familiare: attualmente il successo è di essere riusciti a inserire nelle detrazioni il numero di figli, ma solo per redditi alti e non per il ceto medio. In ogni caso, pur essendo un successo aver messo il numero di figli nel calcolo, è ancora troppo poco per una situazione che ha urgente bisogno di una “cura da cavallo”.

Certamente non sono mancati dalla narrazione gli effetti che a lungo termine il calo demografico provocherà, e in questo senso la presenza di Plasmon e del loro filmato “Adamo 2050” è stata senz’altro efficace e coinvolgente.

Come già all’evento nazionale a Roma, anche nella tappa finale di Milano si è percepito un clima familiare, una convention in cui si avverte non solo l’amicizia tra gli organizzatori (che, è bene ricordarlo, sono tutti volontari!), ma anche l’amicizia con gli ospiti e, in generale, un clima amichevole dove tutti si possono sentire benvenuti. Anche se questi possono apparire dettagli, tali aspetti fanno la differenza: non un clima asettico dove snocciolare numeri, ma un posto dove si è attesi, ascoltati e ci si trova benvenuti. Un posto dove possono prendere parola i manager delle aziende, i rappresentanti delle istituzioni, le mamme e i papà, proprio perché è un tema comune a tutti e dove ogni esperienza è preziosa.

Quello che a Milano ha fatto notizia è stato l’intervento del ministro dell’Economia Giorgetti, il quale ha aperto alla possibilità di creare un’Agenzia per la Natalità che si faccia carico del problema demografico. La proposta nata dalla Fondazione è buona, a patto che vengano messi in chiaro i poteri dell’organismo e non la si renda un’ennesima agenzia inutile senza poteri decisionali e solo consultiva, come se la sua sola esistenza fosse una prova di aver affrontato il problema o, peggio, come se la sua stessa istituzione fosse già la soluzione. L’Agenzia sarà un mezzo per affrontare il problema, se efficacemente o meno dipenderà come detto da come verrà istituita.

Quello che appare chiaro è che è essenziale, perché la proposta diventi efficace, che l’Agenzia possa essere indipendente dalla politica e dagli schieramenti, altrimenti le sue decisioni diventeranno di brevissimo periodo mentre è necessario guardare ai prossimi vent’anni. C’è bisogno di prendere decisioni per l’Italia e il futuro dei suoi cittadini, senza guardare alle logiche di partito e al ritorno elettorale immediato.

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