È uno degli obiettivi dominanti nel mantra con cui questo governo si rivolge al Paese: incentivare le politiche demografiche. Da anni ormai l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa e non riesce a ribaltare la visione di un inverno demografico prolungato, in cui si mescolano paure e timori di ogni tipo.
Ci sono ansie più che legittime legate alla precarietà di gran parte del mondo del lavoro. Disoccupazione e sotto-occupazione sono dei deterrenti molto forti rispetto alla responsabilità di avere dei figli e non sapere se e come potersene far carico almeno nell’arco iniziale della loro vita, rende difficile perfino desiderare di avere un figlio. Perché come ogni padre e ogni madre sa bene, di un sapere naturale e istintivo, un figlio è per tutta la vita. Si è madre e padre per sempre… Concepire un figlio può anche essere frutto di una relazione occasionale, ma assumerne la maternità e la paternità ha quasi sapore di eternità. Ed è l’intensità di questa responsabilità che spaventa, perché si ha la netta percezione che ci cambierà la vita per sempre.
È vero che nella fase iniziale della vita di un bambino servono risorse economiche adeguate, che vanno ben al di là del famoso bonus bebè, ma sono condizioni necessarie e non sufficienti. E se dobbiamo considerare positivamente il complesso di aiuti che questo governo sta mettendo nella manovra di bilancio, non possiamo comunque immaginare che sia una misura che da sola risolverà la nostra struttura di Paese a piramide rovesciata.
Non si inverte il trend negativo della natalità solo con le tante misure economiche: nessuna è sufficiente, perché il problema è nella testa e nel cuore della gente. Ed è la perdita di prospettiva per il futuro, che appare immerso in una nebbia imprevedibile, a spaventare i giovani. E a mettere in discussione anche decisioni come quella di sposarsi, in chiesa o civilmente, resta la paura di vincolarsi a qualcuno di cui non si è sicuri di potersi far carico per tutta la vita. E la scelta è quella dei legami light, che si possono sciogliere facilmente per recuperare la propria autonomia e libertà. Perché se affrontare un futuro incerto per se stessi appare inevitabile, offrire un futuro ad alta densità di incertezza appare a molti potenziali genitori aberrante. Né ci stupisce che davanti ad un futuro di cui non intravvede le possibili linee di sviluppo, una persona possa accentuare un naturale egocentrismo, con la ricerca esasperata del benessere e ridotta disponibilità al sacrificio.
Appare allora assai più complessa la strada che si presenta a chi governa, se davvero vuole rilanciare politiche demografiche a forte impatto trasformazionale sul tessuto sociale. È in gioco, come naturale, il ministro della Famiglia, ma lo sono anche il ministro del Lavoro e quello dell’Economia; il ministro del Sud e quello della Salute. In un complesso lavoro di squadra in cui la posta in gioco è il recupero della fiducia nel futuro, con un sano ottimismo che affondi le sue radici in una speranza a largo raggio.
Se i giovani non credono abbastanza nella possibilità di fare un progetto di vita che attraversi il futuro prossimo e coinvolga le nuove generazioni, non si sentiranno protagonisti di un vero e proprio cambiamento epocale. Sembra che il successo a breve termine, che ha illuso finora i giovani senza garantire loro nulla, sia giunto ormai al traguardo. Proprio come accade con la falsa utopia del Reddito di cittadinanza, inteso da molti come un reddito a cui si ha diritto senza lavorare, senza faticare, sottoposto alla legge del gusto. Ho diritto a scegliere il mio lavoro e a rifiutare quello che non mi piace e non mi soddisfa: tocca allo Stato mantenermi e non a me spendermi per mantenere la mia famiglia e contribuire al bene comune. Che senso ha pensare di mettere al mondo un figlio, quando io sto perpetuando la mia condizione di figlio assistito è mantenuto, per di più in un contesto di legami affettivi rarefatti e non condivisi?
Vincere questa straordinaria impresa che dovrebbe ribaltare la piramide demografica significa restituire ai giovani la consapevolezza della loro forza e della loro responsabilità; il diritto a lavorare facendogli sperimentare il piacere dell’autonomia economica, ma soprattutto aiutandoli a ricreare quei vincoli affettivi che permettono di non sentirsi mai soli.
È vero che in politica i messaggi vanno semplificati, proprio perché debbono raggiungere tutti e subito, e dare aiuti qualificati non solo sul piano economico, ma anche in termini di servizi alle famiglie, è molto importante, soprattutto in tempi di crisi. Ma occorre aver ben presente che la crisi demografica è una crisi molto molto profonda, che ha messo in crisi prima di tutto il senso dell’autostima: posso essere una persona capace di affrontare il futuro senza troppe paure e quindi posso anche desiderare di essere, insieme ad una persona che amo, un buon genitore. Sono in grado di farlo e voglio farlo, perché non sono solo! Siamo in due e la società fa il tifo per noi e per nostro figlio.
Le politiche demografiche sono e saranno un’impresa titanica se non si riparte dalla centralità non dell’uomo o della donna, ma della coppia in una società solidale e ottimista. Come sempre occorre recuperare quei valori che sono alla base della visione del mondo positiva, senza drammatizzare le difficoltà, ma investendo in resilienza e collaborazione personale, familiare e sociale.
E allora ben vengano tutti gli aiuti economici possibili! Saranno sempre troppi pochi… a sostegno delle famiglie di oggi per la società di domani.
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