I 25 ANNI DAI BOMBARDAMENTI NATO SULLA JUGOSLAVIA: CHE COSA FU L’OPERATION ALLIED FORCE
Era il 24 marzo 1999 quando iniziava nell’ex Jugoslavia l’operazione “Allief Force” con cui la NATO sganciò le prime bombe sulle zone controllate dalle truppe di Slobodan Milošević per fermare il massacro serbo in Kosovo: si trattò di fatto della prima vera guerra in Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale del 1945 ma fu anche l’inizio di una delle più buie pagine della recente storia europea, almeno fino al conflitto in corso tra Ucraina e Russia. I bombardamenti su Belgrado (Serbia) e Pristina (Kosovo) videro l’Alleanza Atlantica impegnata contro la Repubblica Federale di Jugoslavia dal 24 marzo di 25 anni fa fino al 10 giugno 1999: l’intento era quello annunciato di ricondurre la delegazione serba al tavolo delle trattative, fermando i massacri contro le popolazioni kosovare.
In realtà fu molto di più in quanto oltre ad essere la seconda azione militare della storia NATO in Jugoslavia dopo la prima del 1995 in Bosnia (operazione “Deliberate Force”), rappresentò un vulnus scoperto per la diplomazia internazionale: l’Alleanza infatti agì senza avere il via libera ufficiale del Consiglio di Sicurezza ONU il che aprì non poche polemiche e controversie all’interno dello stesso Occidente. Non solo, l’Italia dell’allora Premier Massimo D’Alema (Governi di Centrosinistra tra il 1995 e il 2000, ndr) fu primissima protagonista in quanto i missili e gli aerei per i bombardamenti contro Milosevic decollavano proprio dalle basi e aeroporti italiani.
Il 24 marzo del 1999 alle ore 16 la Forza Alleata della NATO costituita da Usa, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada, Turchia, Spagna, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Olanda e Belgio lanciò l’attacco contro l’ex Jugoslavia per quasi due mesi, evitando però lo scontro militare su terra. La guerra “lampo” portò morti e distruzione a Belgrado oltre a violente ripercussioni e massacri lanciati dal regime di Milosevic contro le popolazioni del Kosovo: le forze serbe infatti attaccarono i civili kosovari albanesi, massacrandoli verso un drammatico “esodo” nelle vicine Albania e Macedonia. Solo pochi anni prima, dal 1995, la guerriglia tra serbi e kossovari venne alimentata dall’UCK, una frangia violenta con veterani musulmani, croati e kossovari, che mirava alla piena indipendenza del Kosovo lanciando massacri contro i cittadini di etnia serba.
LE BOMBE NATO IN JUGOSLAVIA SENZA L’APPROVAZIONE DELL’ONU: COSA AVVENNE NEL 1999 CON L’ITALIA (TRISTE) PROTAGONISTA
Il 1 giugno 1999, dopo due mesi di attacchi e bombardamenti massacranti, il presidente-dittatore Milosevic accettò le decisioni del G8 iniziando la pianificazione di una missione di pace in Kosovo: appena 8 giorni dopo, Il 9 giugno, lo Stato Maggiore serbo firmò con la NATO l’accordo di Kumanovo sul ritiro dal Kosovo e dal 10 giugno, dopo 78 giorni di bombardamenti, furono sospese definitivamente le missioni di attacco NATO sulla ex Jugoslavia.
2500 civili morti, tra cui un centinaio di bambini, 1000 i soldati morti tra i vari schieramenti, diversi gli aerei abbattuti e le città distrutte: il tutto senza l’appoggio diretto dell’ONU e con i bombardamenti avviati dall’Italia di D’Alema (specie con lo spazio aereo tenuto aperto per consentire ulteriori attacchi alleati) senza una previa discussione politica in merito. «Era moralmente giusto ed era anche il modo di esercitare pienamente il nostro ruolo», furono le parole dell’ex Premier italiano D’Alema in merito ai bombardamenti e alle scelte prese dal suo Governo durante la guerra del 1999. Di contro, la NATO ha sempre spiegato il suo intervento come risposta al genocidio messo in atto dalla Serbia contro il Kosovo con 13mila morti, di cui circa 10 mila albanesi, 2 mila serbi e 500 tra rom, bosniaci e altre etnie. Come poi ammise anni dopo in un’intervista a Repubblica il generale Mario Arpino, allora capo di stato maggiore della Difesa, anche l’Italia sganciò le sue bombe nei due mesi di offensiva aerea contro le truppe serbe di Milosevic.