Al vertice di Washington l’Italia preme sulla NATO perché si impegni anche sul fronte Sud, in Nordafrica e Medio Oriente. Ma per convincere gli altri Paesi dell’Alleanza deve prima di tutto raggiungere il 2% del Pil per la spesa militare, altrimenti difficilmente potrà pretendere l’uso di risorse per un’area che molte nazioni, anche del Nord Europa, quelle che rispettano la quota del 2%, considerano non così importante.
L’Occidente, d’altra parte, spiega Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito, fondatore dell’IGSDA e membro del Collegio dei direttori della NATO Defense College Foundation, sta perdendo posizioni in Africa, dove Francia e USA hanno sempre meno influenza, e per convincere gli Stati Uniti a tornare a interessarsi di questa macroregione bisogna prima che la stessa UE mostri di ritenere strategico questo fronte, mentre finora lo ha snobbato. C’è poi un altro tema: i Paesi africani chiedono sostegno anche per quanto riguarda la sicurezza, soprattutto perché devono fronteggiare i fondamentalisti islamici. Ma l’Occidente, anche l’Italia con il Piano Mattei, non prende in considerazione questo tema. Fa già fatica a soddisfare le esigenze militari dell’Ucraina, a maggior ragione non riesce a trovare risorse sufficienti per l’Africa.
L’Italia rivendica un ruolo nella NATO per quanto riguarda il fronte sud dell’Alleanza, Nordafrica e Medio Oriente. Perché questo fronte è così importante, se la priorità continua ad essere l’Ucraina?
L’Italia, già al G7, aveva rimarcato l’importanza del fronte Sud chiedendo che il segretario generale nominasse un rappresentante italiano per questa area. Ci sono tre criticità: una è lo scontro Israele-Palestina, la seconda riguarda la “predazione” militare della Russia, soprattutto in alcuni Stati del Sahel, causa di quella instabilità che poi si traduce in immigrazione clandestina; la terza riguarda la Cina Popolare, che continua a sviluppare relazioni economiche in Africa, approfittando della debolezza francese e cercando di accrescere la sua influenza nel continente.
Qual è la sfida con la Russia?
In alcuni Paesi la Russia dà supporto non solo militare ai movimenti politici che si impongono nell’area. Sono nazioni che hanno problemi di jihadismo e i russi continuano ad offrirsi di aiutarli nel contrastarlo. Etiopia ed Egitto sono già entrati nei BRICS, è un’ulteriore penetrazione in Africa di questo cartello alternativo a quello occidentale. Inoltre, la presenza di mercenari russi potrebbe creare problemi anche in altri territori.
L’Italia ha elaborato il Piano Mattei, ma dal punto di vista della sicurezza non offre niente ai Paesi con i quali si vogliono approfondire le relazioni. Mentre USA e Francia hanno perso terreno anche militarmente. Cosa potrebbero fare l’Occidente e la NATO?
Bisogna aiutare questi Paesi a sviluppare le loro economie, perché il benessere economico contribuisce a ridurre lo spazio per l’insorgere delle dittature. Bisogna far sentire la presenza dell’Occidente in questi termini, senza sostenere governi nati da colpi di Stato: creano situazioni che portano allo sfruttamento delle materie prime di cui è ricca l’Africa e non favoriscono lo sviluppo economico. Certo, gli aiuti occidentali devono riguardare anche il settore della difesa, ma la NATO ha già dimostrato di far fatica a sostenere in modo coeso l’Ucraina e quindi da questo punto di vista, a maggior ragione, si potrebbe trovare in difficoltà sul fronte Sud nel confrontarsi con Russia e Cina Popolare.
Il problema sono anche le carenze nell’organizzazione militare occidentale?
Non è questione di organizzazione. È difficile convincere sia l’opinione pubblica europea a mandare i propri soldati in Africa per mantenere la stabilità, sia gli Stati africani ad accettare forze europee sul loro territorio. A volte si ricordano gli europei come i colonizzatori del passato. Le grandi autarchie, invece, si comportano come vogliono, sostenendo e pagando i mercenari, come fanno i russi.
L’Occidente ha perso terreno in Africa anche per le conseguenze di interventi come quello in Libia. Ora cosa può fare?
In Libia, al di là dell’intervento militare che è riuscito a raggiungere gli obiettivi chiesti dai governi, è mancata una strategia politica e diplomatica per mantenere stabile il Paese quando l’operazione si è conclusa. Il pericolo ora è che perdano stabilità anche quei Paesi che oggi la mantengono. Il rischio è di ritrovarsi altre situazioni come Siria e Libia. Bisogna far sentire concretamente la presenza e vicinanza a chi governa gli Stati africani.
Gli americani hanno firmato accordi con il Kenya e stanno cercando di riallacciare rapporti economici con i libici: sono convinti che il fronte Sud è importante o hanno altre priorità? Su cosa bisogna puntare per indurli ad agire anche lì?
Gli USA si stanno impegnando in due aree importanti: Ucraina e Indo-Pacifico. Hanno interesse strategico a controllare i mercati delle materie prime dell’Africa, ma per convincerli a prestare maggiore attenzione a questo continente ci deve essere una politica europea coesa su questo tema. Se i Paesi del Nord Europa sono i primi a non interessarsene convintamente, anche gli americani saranno meno spinti a farlo. Persuadere il governo USA ad agire in Africa senza un palese supporto e interessamento della UE diventa complesso.
L’Italia che ruolo può giocare in questo contesto?
L’Italia ha difficoltà a raggiungere il 2% del Pil come spesa per la difesa, il tetto prefissato per gli aderenti alla NATO (ieri il presidente Meloni ha comunque dato rassicurazioni in tal senso), e non può pretendere che i Paesi che lo raggiungono impieghino una parte del loro Pil per un obiettivo che sentono distante dai loro interessi. Per convincere i partner dovrebbe cominciare a sistemare questo parametro: è la condizione minima per essere credibili e conseguentemente seguiti. Per il resto può coordinare le azioni NATO atte a proteggere il fronte Sud. A mio parere è più che legittima l’aspirazione di avere un italiano nominato dalla NATO quale responsabile del Fronte Sud.
In generale, però, c’è il tema dell’industria militare che non tiene il passo delle esigenze che vengono dall’Ucraina. Cosa si può fare per contenere l’espansionismo russo?
Ci sono difficoltà per l’Ucraina, ma si sta agendo per superarle. In Africa non bisognerebbe solo fornire armi, c’è da garantire sicurezza in senso ampio. Dobbiamo rinforzare le due grandi alleanze che abbiamo nell’area, quella del Mediterranean Dialogue (MD) e dell’Istanbul Cooperation Initiative (ICI), che potrebbero servire per una cooperazione antirussa nell’area.
Quali sono i Paesi che potrebbero farci da sponda in questa politica?
Quelli con cui la NATO ha gli accordi MD sono: Mauritania, Tunisia, Marocco, Algeria, Giordania, Egitto e Israele. Per quanto riguarda l’ICI: Qatar, Emirati Arabi, Kuwait e Bahrein.
(Paolo Rossetti)
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