In totale discontinuità con l’inerzia assurda della guerra, che marcia verso un’escalation disastrosa, si è alzata ieri la voce della Santa Sede, pronunciatasi con dichiarazioni nettissime del segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. Un altolà alla NATO, e a quei leader europei, vedi Macron e Scholz, che danno il consenso all’uso delle loro forniture missilistiche direttamente contro obiettivi in Russia. Solo un ghirigoro dialettico, e un tantino ipocrita, consentirebbe a questo punto di distinguere tra legittimo aiuto all’Ucraina e guerra per procura condotta attraverso manovalanza locale.
Quante divisioni ha Parolin? Le stesse del Papa. Hanno la pura forza della ragione e la realistica carica profetica di Francesco. Sono espressione della Santa Sede, punto. Mai come ora bisogna cogliere la totale continuità delle parole e delle azioni che arrivano da Pietro e dai suoi diretti collaboratori. Il Papa non ha smesso un istante di pregare e di invocare la pace, non in astratto, ma supplicando un negoziato, come preludio alla cessazione della “follia” del conflitto; ha auspicato la creatività diplomatica per raggiungere l’obiettivo. Fino a proporre dolorosamente: “L’Ucraina abbia il coraggio della bandiera bianca”, da alzare senza vergognarsene, non come resa, ma quale premessa per trattare (9 marzo, alla tivù della Svizzera italiana). Il cardinale Parolin ha tradotto in giudizi specifici questa linea. Lo ha fatto all’inizio del conflitto, al momento dell’aggressione russa, sostenendo la liceità della legittima difesa e del sostegno con la fornitura di armi a chi è attaccato. Purché – queste le parole di ieri – “la risposta non produca maggiori danni di quelli dell’aggressione. Il problema dell’invio di armi si colloca all’interno di questo quadro. Capisco che nel concreto sia più difficile determinarlo, però bisogna avere alcuni parametri chiari per affrontarlo nella maniera più giusta e moderata possibile”.
Vatican News riporta che “autorizzare l’esercito ucraino a colpire la Russia con armi consegnate dai Paesi occidentali – ipotesi al centro del vertice informale dei ministri degli Affari esteri in programma tra oggi e domani (30-31 maggio) a Praga – porterebbe, secondo il segretario di Stato, ad ‘un’escalation che nessuno potrà più controllare’. ‘È una prospettiva davvero inquietante”, afferma il cardinale (che) non nasconde la sua preoccupazione per questi possibili scenari; dovrebbe essere la stessa preoccupazione, afferma, di ‘ogni persona che abbia a cuore le sorti del nostro mondo’. Il rischio è reale”.
Le sorti del mondo! Non sono affermazioni vaghe, affondano nella conoscenza sul terreno.
Sono in corso infatti due movimenti opposti eppure convergenti in questa follia bellica. La Russia attacca e sta vincendo sul campo, e nessun orrore è risparmiato al popolo ucraino, specie alle famiglie povere, che non hanno soldi per corrompere gli apparati così da fuggire all’estero o per liberare i propri figli dalla morte sicura della prima linea, dove sono gettati come paglia nel falò.
La NATO, come documenta il vertice a Praga dei ministri degli Esteri, sta scegliendo inesorabilmente di eliminare, per le armi fornite a Kvyv, la clausola di un uso che non varchi i confini nazionali. In un primo momento il segretario generale Stoltenberg sembrava isolato in questa decisione, poi si è capito che era solo l’annunciatore di una scelta del maggiore azionista dell’Alleanza Atlantica, l’America, dove l’autorità politica è premuta dal comparto industrial-militare (e finanziario) che non ha alcun interesse a chiudere il conflitto, ma anzi a rendere il suo fuoco inestinguibile. La prossima mossa sarà l’invio ufficiale di truppe, magari composte di “consiglieri”, come accadde in Vietnam. Ma i russi la lasceranno fare o provvederanno a qualche soluzione orrendamente spiccia? Chi gioca a questo gioco estremo, convinto che tanto non toccherà a lui?
L’escalation – intanto – è l’ovvia conseguenza di questa accelerazione contrapposta. Escalation fino a quale grado della scala bellica? L’unica soluzione, più che mai indispensabile, è il negoziato. Lo propone la Russia, certo. Lo chiama così ma non è un negoziato. Offre di non affondare il colpo in cambio del passaggio avallato internazionalmente alla propria sovranità delle regioni prese con le armi. Ci deve essere un modo però. Qualcosa che implichi una solidarietà reale dell’Occidente con l’Ucraina, al tavolo delle trattative. Un accordo con le maggiori potenze. Una Yalta dove nessuno pretenda di essere il vincitore e di essere dalla parte giusta della storia.
L’alternativa, per come si sono messe le cose, non sarebbe lo status quo digrignando i denti, ma una guerra alla fine totale. La seconda guerra mondiale è costata 60 milioni di morti. Vogliamo combattere la terza per vedere chi vince? Aggiungiamo a 60.000.000 uno o due zeri. Perderemmo tutti.
Quella che abbiamo visto in questi due anni è stata una guerra in cui anche l’Occidente è stato pienamente implicato, pur essendo pienamente consapevole che una potenza nucleare, dinanzi al rischio esistenziale, non avrebbe mai accettato la sconfitta senza dispiegare ogni risorsa distruttiva possibile, per la logica intrinseca dell’autocrazia imperialista. L’Occidente, noi compresi, ha pensato di sostenere l’aggredito, cosa ottima, ma la teoria dei giochi insegnava che la partita era a perdere. La Russia ha messo in gioco la sua stessa sopravvivenza, noi no. La teoria dei giochi assegnava da subito a Mosca la fiche vincente e all’Ucraina la carta della sconfitta.
Viene in mente Cesare Pavese:”Da uno che non è disposto a legare la sua vita alla tua, non dovresti accettare neanche una sigaretta”. Figuriamoci un missile. Pare che i supremi vertici militari della NATO si facciano disegnare scenari di guerra vittoriosa dall’Intelligenza Artificiale. Preferisco l’Intelligenza Papale.
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