Persa l’opportunità di diventare presidente della Repubblica, Draghi è tornato ad occuparsi di politica estera e lo ha fatto telefonando ieri al presidente russo Vladimir Putin. Al centro del colloquio la crisi Nato-Russia in Ucraina e le relazioni bilaterali. Secondo fonti di agenzia Tass e Ansa, Draghi ha sottolineato l’importanza di “adoperarsi per una de-escalation delle tensioni”, Putin ha confermato l’intenzione di Mosca di “continuare a sostenere stabili forniture di gas all’Italia”. Ma la partita rimane aperta, ci spiega Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia e direttore della rivista GeoTrade. “La riduzione delle forniture come ritorsione in caso di sanzioni molto dure questa sì, la vedo possibile”.
Come vanno lette le dichiarazioni di Putin e Draghi?
La notizia è che c’è stata la telefonata, ma è impossibile giudicarne il contenuto dalle frasi filtrate sulla stampa, che sono evidentemente diplomatiche. La cosa da notare è che Draghi e Putin si sono parlati lo stesso giorno del colloquio telefonico Blinken-Lavrov.
Questo cosa potrebbe significare?
Possiamo immaginare che il messaggio fatto arrivare a Putin da Draghi sia stato coordinato con quello di Washington, almeno per la parte relativa alla de-escalation della tensione. Però ho la sensazione che il colloquio del nostro premier possa essere stato più ampio, esteso anche a temi commerciali ed energetici e non solo legato alla crisi ucraina.
Putin ha detto che manterrà stabili le forniture di gas all’Italia. Non dobbiamo più preoccuparci?
Il gas russo arriva in Italia attraverso altri Paesi europei. E passa dall’Ucraina. Da questo punto di vista siamo più o meno tutti nella stessa barca. Non credo che la Russia interrompa le forniture, ma dobbiamo stare attenti alle sanzioni e soprattutto alle controazioni di Mosca. La riduzione delle forniture come ritorsione in caso di sanzioni molto dure questa sì, la vedo possibile.
Nella sua ultima intervista lei ci ha detto che l’Italia aveva formulato una sua proposta convincente sui rapporti Nato-Russia, poi superata dagli eventi. A che cosa si riferiva?
Mi riferivo al momento favorevole che si era creato nel 2002, dopo gli attentati dell’11 settembre, quando l’Italia riuscì a rimarginare la ferita che si era aperta tra la Nato e la Russia per l’intervento militare in Kosovo. Il nostro contributo diplomatico fu quello di creare il Consiglio Nato-Russia, il cui accordo venne firmato il 20 maggio 2002 a Pratica di Mare. Dobbiamo riconoscere che fu il maggiore successo in politica estera del governo Berlusconi.
Vista con il senno di poi, un’iniziativa lungimirante.
Sì, senonché quel passaggio preparò l’ulteriore allargamento ad est della Nato, quello che poi si verificò nel 2004 e che ha portato la Nato ad includere altri Paesi membri dell’ex patto di Varsavia nella propria alleanza militare. Parliamo ormai di varie ere geopolitiche fa. L’intuizione era esatta, anche se non avevamo la forza di mantenere il rapporto Nato-Russia in carreggiata.
Che lezione potremmo ricavarne?
Ci confermiamo un Paese geniale ma dissociato dalle regole del realismo internazionale e dei rapporti di potenza, ai quali siamo ingenuamente refrattari, per posizioni ideologiche e per malintesa convenienza. Ad ogni modo oggi, a venti anni di distanza, abbiamo ulteriormente perso il peso geopolitico che avevamo allora ed in Occidente temono che siamo l’anello debole della catena.
Ha fatto discutere l’incontro in videocollegamento con Putin di un gruppo di imprese italiane – tra le quali Maire Tecnimont – per iniziativa della Camera di Commercio Italia-Russia e del Comitato imprenditoriale italo-russo presieduto da Marco Tronchetti Provera. Bloomberg ha riferito che il governo italiano ha chiesto, senza successo, di fermare l’organizzazione dell’incontro. Che ne pensa?
Non sono queste videoconferenze a creare problemi, anche se possono essere sfruttate propagandisticamente e se siamo criticati all’estero per iniziative tutto sommato minori mentre gli affari importanti con la Russia sono a Berlino, a Parigi e a Londra. Certo, ha fatto probabilmente bene l’Eni a sfilarsi, ma ogni impresa deve valutare individualmente il rischio politico ed il rapporto costi-benefici. Teniamo conto che vi sono settori produttivi italiani che soffrono molto per le sanzioni.
In quella sede Putin ha detto che le imprese italiane ricevono gas a prezzi molto più bassi di quelli di mercato, grazie a contratti di lunga durata con Gazprom. È un fatto politico?
Non credo che ci regalino nulla. Il prezzo dipende anche dal periodo in cui sono stati fatti i contratti, dalle quantità consumate, ovviamente dalla durata e da altre condizioni di mercato e di trasporto. Sicuramente, la Russia usa il prezzo del gas anche in maniera politica.
Può un governo come quello che abbiamo darsi la politica estera che continuiamo a non avere?
La politica estera la dovrebbero fare i partiti e dovrebbe tenere in conto l’interesse nazionale, spesso trascurato per altre logiche. O semplicemente, anche quando l’interesse nazionale viene formalmente riconosciuto, il nostro sistema non investe da troppi anni ormai le risorse necessarie per consentirci di raggiungere obiettivi seri di politica estera. Che ricordiamolo, è un pericoloso gioco di competizione e di coercizione e non un esercizio di conferenze e colloqui internazionali, che pure hanno la loro utilità.
Draghi e Mattarella?
Fanno del loro meglio, ma purtroppo siamo in una fase di crisi internazionale e di emergenza politica italiana, altrimenti non avremmo Draghi e Mattarella. Diciamo che latitanti sono i partiti e il parlamento, ma sopratutto buona parte del Paese, che pensa di potersi isolare dal mondo senza subirne le conseguenze.
Perché ci sono navi russe davanti alla Sicilia?
Sono unità della flotta russa del Baltico che dovrebbero dirigersi verso il Mar Nero e che ora transitano nelle acque internazionali vicino alle nostre coste. Fanno parte delle operazioni navali globali annunciate da Putin per allargare la tensione attorno alla crisi ucraina.
(Federico Ferraù)
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