Su richiesta di qualche amico, preoccupato per l’ultimo articolo in cui si prefigurava l’ipotesi di una guerra nucleare, provo a cimentarmi in un campo che non è il mio, ma che mi ha sempre interessato fin dagli anni di insegnamento all’Istituto Diplomatico di Astana: la geopolitica.
Fin dall’inizio della sua storia, anzi addirittura dalla preistoria, l’uomo ha avuto la tendenza a circoscrivere il campo su cui esercitare il suo potere: le caverne in cui rifugiarsi o i territori in cui poter cacciare o raccogliere i prodotti della foresta. Del resto, si sa che questo in qualche modo lo fanno anche diverse specie di animali. Quando le aggregazioni di uomini si sono fatte grandi sono nati i villaggi e le città, circondati da palizzate e poi da mura sempre più solide. È nata anche la tentazione di allargare il proprio territorio su cui si è cominciato a praticare l’agricoltura, e questo ha portato a scontrarsi con gli altri villaggi e le altre città. Il sorgere dei commerci, ad esempio nel Mediterraneo, ha portato ad altri conflitti, perché anche il mare è diventato un territorio non solo di pesca, ma anche di controllo dei traffici, soprattutto attraverso il controllo dei porti.
Le grandi civiltà, come ad esempio quella assiro-babilonese, quella egiziana e quella persiana, caratterizzate da un potere centrale sempre più forte e dotato di grandi eserciti, si sono trovate coinvolte in conflitti sempre più grandi. La forza del numero e di una migliore tecnologia, sia pure oggi diremmo elementare, ha facilitato il formarsi di imperi di cui gli altri sono diventati schiavi o individui sottomessi da sfruttare.
Maestri in quest’arte sono stati i Romani, che in forza delle loro leggi, giuste per definizione, e della loro genialità nell’assorbire i valori e le scoperte dei popoli dominati, hanno costruito un impero immenso. Partendo da una definizione legale e non etnica del “cives romanus” hanno aggregato al loro potere gente di ogni razza e cultura. La crisi dell’Impero Romano ha poi favorito per secoli in Europa il frantumarsi di un unico potere, sempre meno garantito da quello spirituale della Chiesa; fino al nascere di Stati nazionali spesso in conflitto nello stabilire confini e zone di influenza.
Forse l’ultimo a inseguire il sogno di un’Europa unita, naturalmente sotto il suo potere, è stato Napoleone. Proponendo, anzi imponendo, gli ideali di libertà ed eguaglianza della Rivoluzione Francese, ha messo in secondo piano quello della fraternità, facendo della forza delle armi l’arma, poi spuntata, delle sue vittorie.
Dopo di lui, alla fine dell’800, anche a causa di ciò che ho appena accennato, è nata una discussione, e poi anche una nuova scienza, la geopolitica. Nuova scienza perché pretende di analizzare scientificamente tutti i fattori che determinano il successo o l’insuccesso della politica a livello internazionale.
Naturalmente i primi fattori che sono stati presi in considerazione sono stati quelli di natura militare.
E così arriviamo “alla fine dell’800 quando l’ammiraglio statunitense Alfred Mahan, nei suoi scritti (The Influence of Sea Power upon History, 1886 e The Influence of Sea Power upon The French Revolution and Empire, 1894), attribuì grande importanza al potere marittimo”, visto che il mare ricopre il 70% del globo terrestre e visto il potere che esercitava sul mondo la “piccola” Gran Bretagna.
Proprio però uno scozzese, Halford Mackinder, sostenne nei primi anni del 900 che era più importante, per comandare il mondo, ottenere il potere su quel territorio che comprende l’Europa, l’Asia e l’Africa che chiamò “The World Island” e che avrebbe come centro (Heartland) la Russia. Questo avrebbe spiegato il piano di Napoleone e poi di Hitler di conquistarla, anche se Hitler vedeva di più la Russia come una periferia di un impero che avesse come centro, naturalmente, la Germania.
La prima e la seconda guerra mondiale ebbero come protagoniste le forze di terra, anche se nella seconda incominciò ad acquistare una maggiore importanza la forza aerea. La battaglia d’Inghilterra e, forse, ancor di più i tragici bombardamenti a tappeto anche contro la popolazione civile portarono gli eserciti a fornirsi di portaerei e di basi militari sempre più importanti, oltre a grandi progressi tecnici. È noto agli esperti come nella guerra di Corea i Mig sovietici si dimostrarono superiori a quelli americani, il che portò poi alla progettazione degli F-16. Hiroshima, Nagasaki e la produzione continua di nuovi missili in grado di portare ordigni nucleari hanno portato in seguito allo stallo della guerra fredda. Una guerra ormai combattuta con il primato dell’economia da parte dell’Occidente e con quello della propaganda ideologica da parte del mondo sovietico, che prometteva una giustizia che certo non era riuscita a realizzare al proprio interno.
Ora nel campo della geopolitica si sta lentamente affermando un altro fattore, spesso sottovalutato, quello della demografia. L’esplosione demografica prima della Cina e ora dell’India, con la sete di energia per le loro industrie, proprio in parallelo con la crisi demografica dell’Europa, creano una nuova situazione. A questo si aggiunga la crisi irrisolta dei popoli dell’Africa e del Sudamerica.
Non ci sono eserciti in grado di contenere l’immigrazione selvaggia a cui sono di fatto costrette le forze più vive di Paesi dove anche quando c’è il pane, non ci sono la pace e la giustizia. La “guerra mondiale a pezzi” mette alla prova un sistema politico-militare ancora occidente-centrico, dove la Russia di Putin non si rende conto che in Ucraina sta combattendo in verità una specie di guerra civile che logora l’economia e le forze militari di chi si indebolisce di fronte alla Cina, all’India e, anche, al mondo islamico, per fortuna ancora molto diviso.
In questo quadro la tentazione assurda di un conflitto nucleare che devasterebbe America ed Europa, e che colpirebbe solo in parte i colossi della Cina e dell’India, sembra purtroppo possibile, vista la miopia dei vari “nostri” leaders, compresi quelli della Russia. Non si tratta, per carità, di costruire un grande blocco economico e militare anti-cinese, ma di incominciare un rapporto nuovo con questo popolo che in certi campi, a cominciare da quello della democrazia, ha comunque ancora tanti problemi da risolvere.
PS: La citazione su Mahan è presa da “Lezioni di Relazioni Internazionali” di Umberto Gori, di cui conservo una copia con una sua dedica, come una reliquia.
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