Due le dichiarazioni riassuntive di una giornata di guerra che ha visto Biden impegnato in Europa, prima al vertice Nato, poi al G7 e infine ospite del Consiglio europeo. Entrambe rendono meglio di altre la gravità della situazione.
La prima è dello stesso presidente americano: “food crisis”. Biden afferma di aspettarsi una “reale” carenza di cibo a causa della guerra in Ucraina, titola Bloomberg. La seconda arriva in tarda serata dal ministero degli Esteri russo, al termine della girandola di incontri europei. “La decisione del vertice della Nato di continuare a sostenere il regime di Kiev conferma l’interesse dell’Alleanza a continuare il conflitto”.
Nel comunicato finale, i capi di Stato e di governo dei Paesi Nato chiedono alla Russia di attuare immediatamente un cessate il fuoco e di impegnarsi “in modo costruttivo in negoziati credibili”, affermano che “l’Ucraina ha un diritto fondamentale all’autodifesa ai sensi della Carta delle Nazioni Unite” e si impegnano ad intensificare il sostegno “politico e pratico all’Ucraina mentre continua a difendersi”. Ma la vera “linea rossa” contenuta nel lungo statement dell’Alleanza è quella sull’uso di armi chimiche.
Ne abbiamo parlato con il generale Giorgio Battisti. Già comandante del contingente italiano Isaf in Afghanistan, Battisti è stato comandante del corpo d’armata di reazione rapida della Nato in Italia.
La Nato lo ha messo per iscritto nella dichiarazione finale: “Qualsiasi uso da parte della Russia di un’arma chimica o biologica sarebbe inaccettabile e comporterebbe gravi conseguenze”. Esiste davvero il rischio e quali sarebbero le conseguenze?
Ritengo che il termine sia un po’ ambiguo perché non stabilisce quali possano essere le “gravi conseguenze”. In ogni caso è un avvertimento. Va detto che il ricorso alle armi chimiche segnerebbe un notevolissimo salto di qualità – in peggio – nel conflitto.
Ci spieghi.
Non che il ricorso alle armi chimiche non sia già avvenuto, basti pensare alla Siria. Però tutti i paesi che siedono all’Onu, Russia compresa, hanno siglato l’accordo per l’abolizione e il non utilizzo delle armi chimiche nel 1993 e non credo che intendano smentirlo. Inoltre, dal punto di vista militare, l’utilizzo porterebbe vantaggi estremamente limitati.
Per quale motivo?
Oggi abbiamo tre tipologie di armi non convenzionali. Quelle nucleari, le più rischiose, anche per la ritorsione immediata che comporterebbe il farvi ricorso. Poi ci sono le armi biologiche. Ancor più pericolose, perché gli effetti non si manifestano subito e soprattutto non potrebbero essere circoscritti. Infine ci sono le armi chimiche. Infliggono pesanti perdite nel punto in cui vengono utilizzate, ma dopo poco tempo i gas si dissolvono nell’aria. Gli effetti sarebbero trascurabili dal punto di vista militare, ma terribili da quello psicologico e morale.
Secondo Bloomberg, Usa e Nato starebbero valutando l’invio in Ucraina di missili antinave. Cosa vorrebbe dire sotto il profilo strategico?
L’Occidente ha già inviato missili controcarro, che consentono agli ucraini di contenere l’offensiva russa, e missili antiaerei, che hanno impedito a Mosca di avere il controllo totale dei cieli. I missili antinave darebbero a Kiev la possibilità di colpire le navi russe che incrociano al largo delle coste ucraine. Sarebbe un ulteriore passo in avanti, probabilmente l’ultimo, nel sostegno Nato all’Ucraina senza intervenire direttamente.
Potrebbero servire a rompere il blocco navale russo del porto di Odessa?
È una supposizione fondata.
“Le prossime due settimane decideranno da che parte arriverà la vittoria” ha detto Josep Borrell. È solo una dichiarazione politica?
Borrell ha uno staff militare alle sue dipendenze che avrà fatto una valutazione in tal senso, però mi sembra difficile che i russi, dopo l’impegno che hanno profuso nelle operazioni e dopo le perdite di vite umane che hanno subito, desistano in due settimane. A meno che non siano in atto contatti diplomatici segreti che potrebbero portare a un cessate il fuoco.
In assenza di altre informazioni o fatti significativi, che cosa possiamo concludere?
Dal solo punto di vista militare, dubito che la Russia decida di ritirarsi in un tempo così breve. Dovrebbe succedere qualcosa di imprevisto: o nel regime russo, o per la controffensiva ucraina. Sul primo aspetto, quello politico, non ho informazioni.
E per quanto riguarda una controffensiva militare ucraina?
La considero improbabile, perché al momento le forze ucraine sono equipaggiate per essere difensive: non dispongono di una quantità tale di mezzi corazzati e aerei tale da ribaltare i rapporti di forza sul loro territorio.
Sull’entità e la qualità dell’esercito russo si sono versati fiumi di inchiostro. Lei che ne pensa?
La mia impressione è che in queste quattro settimane i russi abbiano impiegato materiali non di primissima qualità, forse perfino risalenti ai tempi della guerra fredda.
Quali motivazioni potrebbe avere una scelta del genere?
Conservare le forze migliori, in termini sia di uomini che di mezzi, terrestri e aerei, in vista di un ipotetico scontro con la Nato.
Da Draghi sappiamo che nelle riunioni è stato detto di no alla No fly zone. È il punto più delicato di tutti. Su questo la Nato è irremovibile.
Sì, perché vorrebbe dire guerra aperta con la Russia. La No fly zone è stata attuata nei cieli della Libia, della Bosnia, dell’Iraq nella prima guerra del Golfo, ma erano Stati sostanzialmente privi di una reale capacità offensiva. Qui è completamente diverso. Far rispettare la No fly zone vuol dire non solo abbattere tutto ciò che vola con la bandiera russa, come tutti giustamente dicono, ma anche neutralizzare gli aeroporti militari in Russia e Bielorussia e i rispettivi sistemi di difesa aerea.
Dopo un mese di guerra ci sono le condizioni per arrivare a un cessate il fuoco e andare a trattative serie?
I russi qualche successo lo hanno ottenuto, perché stanno occupando quasi tutta la costa del Mar Nero, hanno preso Mariupol e Kherson, ma non hanno ancora raggiunto alcun obiettivo simbolico, come Kiev per esempio, o città importanti come Odessa. Ritengo che saranno disponibili a un accordo sul cessate il fuoco solo da posizioni più forti. Diversamente il Cremlino, dal suo punto di vista, avrebbe perso 10mila uomini per niente.
Qual è il progetto di Vladimir Putin?
Riportare l’area di influenza della Russia ai vecchi confini dell’impero zarista. Dal suo discorso alla vigilia dell’invasione, risulta chiaro.
Estonia, Lituania e Lettonia sono minacciate?
Secondo l’articolo 5 del trattato Nato, un attacco contro un Paese membro equivale a un attacco contro tutti gli altri Paesi, e questo Putin lo sa benissimo. In più, con gli ultimi rinforzi americani, la Nato schiera circa 100mila uomini, un dispositivo di dissuasione formidabile contro ogni tentazione di sconfinamento.
I tre Paesi baltici sono membri Nato, la Finlandia no. È a rischio?
Quel discorso di Putin può essere interpretato anche come un avviso alla Finlandia, che ha già espresso il proposito di entrare nella Nato. Dobbiamo fermarci qui, il resto sono solo congetture.
(Federico Ferraù)
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