TIPOLOGIA A1, PRIMA PROVA MATURITÀ 2022: TRACCIA SVOLTA, ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO ITALIANO
Myricae è la prima opera pubblicata di Giovanni Pascoli (1855-1912) che, tuttavia, vi lavorò ripetutamente tant’è che ne furono stampate ben nove edizioni. Nel titolo latino Myricae, ossia “tamerici” (piccoli arbusti comuni sulle spiagge), appaiono due componenti della poetica pascoliana: la conoscenza botanica e la sua profonda formazione classica. Dal titolo della raccolta, che riecheggia il secondo verso della quarta Bucolica (o Egloga) di Virgilio, si ricava l’idea di una poesia agreste, che tratta temi quotidiani, umile per argomento e stile.
Commenta il testo della poesia proposta, elaborando una tua riflessione sull’espressione di sentimenti e stati d’animo attraverso rappresentazioni della natura; puoi mettere questa lirica in relazione con altri componimenti di Pascoli e con aspetti significativi della sua poetica o far riferimento anche a testi di altri autori a te noti nell’ambito letterario e/o artistico. QUI IL TESTO NELLA TRACCIA A1 E LE DOMANDE D’ESAME
MATURITÀ 2022, TRACCIA SVOLTA A1: ANALISI TESTO PASCOLI, “LA VIA FERRATA, (MYRICAE)”
Attraverso leggere e fugaci pennellate, che quasi ricordano lo stile pittorico degli Impressionisti, Pascoli, ne La via ferrata, descrive un paesaggio naturale contaminato dall’intervento dell’uomo e dalle sue invenzioni tecnologiche, creando un intreccio armonico tra cielo e terra e tra telegrafo e treno. L’armonia realizzata dalle immagini viene ripresa anche a livello metrico e stilistico: basta infatti un veloce sguardo per notare alcune particolarità che questo componimento racchiude. Se si osserva lo schema metrico di questo madrigale, si può notare che le terzine sono legate tra di loro dalla rima centrale (difila – fila), mentre le quartine seguono lo schema della rima alternata. Ma ciò che immediatamente colpisce l’occhio del lettore è quel tranquilla-mente, che crea un effetto di rallentamento del verso tramite la figura retorica della tmesi, usata più volte da Pascoli. Soffermandosi poi sulla struttura della poesia, si può notare come essa si muova accostando piani contrastanti tra loro, che contribuiscono a conferire equilibrio al componimento: da una parte infatti è presente il piano visivo che spicca nelle prime due terzine, in cui il paesaggio e gli elementi descritti dal poeta sembrano essere muti, così silenziosi da parere inquietanti. La via ferrata (le rotaie del treno, elemento lessicale ricorrente, assieme alle aeree fila del telegrafo), è lontana e brilla, mentre i pali dei fili del telegrafo sono tutti dritti e uguali, conferendo alla poesia un’atmosfera di desolante silenzio e di immobilità, sottolineata anche dal ritmo lento dei versi e dalle allitterazioni. Dall’altra parte invece, è presente il piano sonoro che si manifesta nella quartina, trionfo di suoni e rumori provocati dai due protagonisti del componimento, che il poeta mette in risalto attraverso parole onomatopeiche (ululi, rombando). Mentre è chiaro che gli ultimi due versi si riferiscano al telegrafo, i cui fili vengono, per analogia, accostati a un’arpa per il rumore che producono al vento, sui primi due versi l’interpretazione critica non è univoca. C’è infatti chi associa i gemiti, gli ululi e il femminil lamento ai fili del telegrafo e chi invece, pensa piuttosto al rumore prodotto dal treno che arriva e poi si allontana, rifacendosi anche al fatto che, per Pascoli e i suoi contemporanei, l’epiteto femminil rievocava l’immagine della vaporiera carducciana. Leggendo questa poesia, ciò che emerge è la volontà di descrivere il rapporto tra la natura e gli elementi costruiti dall’uomo, rapporto che è però complesso, avvolto da un tacito velo di inquietudine e mistero. Proprio questa inquietudine, ravvisabile nella natura contaminata dall’uomo, rispecchia lo stesso animo del poeta, come spesso accade nella poesia pascoliana. Penso ad esempio al ponte d’argento di Mare, che pur nella sua bellezza, provoca nell’animo di Pascoli una profonda inquietudine verso ciò che non conosce, o all’aratro dimenticato in Lavandare, correlativo oggettivo della vita del poeta. Dunque, è evidente come il rapporto con la natura possa spesso riflettere l’io interiore del poeta, facendo emergere i suoi desideri, le sue speranze e le sue inquietudini, come accade in modo simile anche a Brecht, che in Primavera, descrive la fioritura inaspettata di un germoglio, la quale risveglia in lui la speranza assopita di una rinascita che non attendeva quasi più e che irrompe nella sua vita: «Non ci contavo ormai/lo davo per spacciato /al mio sguardo, inutile./Quasi l’avrei tagliato».