Il ministro dell’Interno Piantedosi ha riferito alla Camera e al Senato sulla tragedia di Cutro. Un’ampia informativa in cui si ricostruisce minuto per minuto quanto avvenuto prima e durante il naufragio costato la vita a 72 vittime, di cui 28 minori.

Secondo le opposizioni invece si è trattato di una lunga disamina senza risposte. Pd e M5s volevano che sui banchi del Governo insieme a Piantedosi ci fosse anche Matteo Salvini, titolare dei Trasporti e responsabile della Guardia costiera; ma il leader della Lega non c’era. Un modo, per Schlein e Conte, di sottrarsi alla corresponsabilità della “strage di Stato”.



In serata la Meloni ha incontrato entrambi, Piantedosi e Salvini, per mettere a punto la stretta anti-scafisti che sarà contenuta nei provvedimenti del Cdm previsto giovedì proprio a Cutro. Un messaggio di compattezza all’indirizzo delle opposizioni.

Il soccorso in mare è una materia regolamentata dalle norme nazionali e internazionali, alle quali nessun politico può derogare. “Il soccorso della Summer Love non può in alcun modo essere stato impedito dal governo”, spiega al Sussidiario l’ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marittimo. Le argomentazioni e la ricostruzione di Piantedosi, sotto questo profilo, sono convincenti. Ma manca ancora una iniziativa politica su nuovi accordi Sar, che Caffio ritiene indispensabili.



Ci si chiede ancora – lo ha fatto Renzi nel suo intervento – come sia stato possibile che, rientrate le unità navali della Guardia di finanza, non sia uscita subito la Guardia costiera a cercare il natante nel mare mosso. Si imputa a Piantedosi di non avere spiegato questa circostanza, sottintentendo una responsabilità politica.

Gli elementi di situazione a disposizione di Gdf e Gc non erano evidentemente cambiati, nel senso che, in assenza di una chiamata di soccorso, si continuava a ritenere che la navigazione del mezzo continuasse, nonostante il peggioramento delle condizioni meteo. Mi pare fuori luogo interpretare questa circostanza in chiave politica.



Lei ci aveva detto: “sorprende che si accenni alle responsabilità della politica per il soccorso in mare”, infatti “si tratta di una materia regolamentata da numerose norme nazionali ed internazionali che hanno carattere cogente”.

Confermo questa mia interpretazione, basata sul fatto che sia la Gdf che la Gc sono due organizzazioni dello Stato soggette non alla politica ma “all’imperio della legge”. L’Italia è uno Stato di diritto e quindi non è immaginabile – non dico sul piano giuridico ma nemmeno su quello morale – che si deroghi al sacrosanto principio di salvare la vita umana in mare stabilito da varie fonti giuridiche ed in primis dal nostro Codice della navigazione.

Sotto questo profilo come commenta le parole del ministro dell’Interno?

Piantedosi ha giustamente dichiarato che “le modalità tecnico-operative dei salvataggi non possono essere in alcun modo sottoposte a condizionamenti di natura politica o a interventi esterni alla catena di comando. Dunque, sostenere che i soccorsi sarebbero stati condizionati o addirittura impediti dal governo costituisce una grave falsità che offende, soprattutto, l’onore e la professionalità dei nostri operatori impegnati quotidianamente in mare, in scenari particolarmente difficili”.

Piantedosi, tra le altre cose, ha detto che: a) c’è un “momento preciso” in cui “si concretizza l’esigenza di soccorso”; e b) il quadro normativo non è stato cambiato dal governo. Questi elementi devono farci vedere diversamente quanto accaduto a 40 metri dalla costa di Cutro?

Il momento Sar inizia con la ricezione della chiamata di soccorso (distress call). Il quadro normativo è quello previsto dalle varie convenzioni internazionali che disciplinano il Sar, dal Codice della navigazione. In aggiunta va considerato il Dm 19 giugno 2003 che, nel coordinare “le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare” svolte da Gdf, Gc e Marina militare attribuisce valenza prioritaria alle attività Sar della Gc.

Il ministro ha spiegato i ruoli di chi svolge le due missioni – law enforcement e Sar – sono interscambiabili, in virtù del fatto che “in mare il quadro situazionale si modifica repentinamente”. Anche la Gdf, se avesse saputo, poteva salvare il natante e non solo la Gc. Qual è la sua opinione in merito?

È ovvio che la Gdf, se avesse avuto un quadro chiaro della situazione, avrebbe assolto con solerzia i suoi obblighi di soccorso. Pensare il contrario è assurdo ed offensivo.

Obiettando ai nostri organi e assetti di sicurezza e vigilanza in mare di non avere fatto quanto dovuto, la conseguenza logica è che si dovrebbe sempre – cioè indipendentemente da ogni richiesta di soccorso – avere qualcuno al largo a vigilare che non accada nulla ai barconi in arrivo. Ma questo non è esattamente il ruolo che si sono date le Ong?

Ragionando in questi termini, gli Stati di partenza dovrebbero prevenire le partenze illegali proprio perché gli scafisti si avvalgono di imbarcazioni inidonee a navigare e quindi unsafe. Sulla base dello stesso assunto, gli stessi Stati, ogni qual volta intercettino tali imbarcazioni mentre sono nelle acque della loro zona Sar, dovrebbero riaccompagnarli indietro come in effetti fanno tunisini e libici. Sappiamo però dei problemi che il ritorno in un Paese considerato violatore dei diritti umani comporta per i migranti. Di qui l’azione delle Ong che operano nella Sar libica il cui ruolo è implicitamente riconosciuto dal recente decreto legge 1/2023. Ma c’è qualcosa di cui sembriamo esserci tutti dimenticati.

E sarebbe?

Per molti anni ad intervenire nelle zone Sar libica e maltese è stato l’Imrcc italiano, avvalendosi di mezzi della Gc, della Marina militare o dei mercantili in transito. Questo avveniva perché in molti casi i migranti, appena iniziavano la navigazione verso l’Italia, avvertivano il nostro Imrcc del pericolo in cui si trovavano. L’Italia de facto era così diventata responsabile dei soccorsi in un’area di più di un milione di chilometri quadrati che inglobava le zone Sar di Libia e Malta, nell’indifferenza degli altri Paesi mediterranei e della stessa Ue.

Ma la situazione avrebbe potuto essere diversa?

Sì, se se si fosse stipulato un “patto del Sar” tra i principali Paesi mediterranei sull’assolvimento dei reciprochi obblighi Sar. Va anche notato, infine, che non esistono ancora accordi di cooperazione Sar tra l’Italia e Tunisia, Malta e Libia – con cui comunque c’è la questione del rispetto dei diritti umani – nonostante le emergenze migratorie durino da più di trent’anni e questo sia espressamente previsto dalle convenzioni internazionali.

(Federico Ferraù)

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