Una delle peggiori stragi del mare, le cui dimensioni sono ancora da chiarire definitivamente, ma che secondo alcuni potrebbe aver causato la morte anche di 500 migranti. Già i primi numeri ufficiali delle persone decedute, tuttavia, la rendono una delle tragedie più pesanti da quando il Mediterraneo è solcato dai barconi che portano i migranti verso le coste italiane. Se fosse successo in Italia probabilmente l’imbarcazione naufragata in Grecia sarebbe stata fermata perché “unsafe”, pericolosa. I greci, invece, hanno un approccio diverso, per intervenire attendono una richiesta di aiuto degli occupanti della barca. Che non c’è stata nonostante fosse stata avvicinata dalla Guardia costiera.



Una divergenza di approcci che, relativamente al soccorso in mare, riguarda anche altre situazioni, come ad esempio l’individuazione del porto in cui sbarcare i migranti salvati. Temi sui quali l’Italia si distingue da Paesi come Malta e Grecia e che potrebbero essere oggetto di una riflessione dell’Unione Europea, cui toccherebbe intervenire definendo regole comuni in questo ambito per tutti i Paesi membri.



L’ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marittimo, spiega quali sono ancora i punti da chiarire e il lavoro di armonizzazione delle regole che l’Europa dovrebbe accollarsi per definire meglio le modalità di intervento in mare. Proprio ieri, intanto, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il primo ministro di Malta Robert Abela: si è parlato anche di immigrazione, della necessità di lavorare insieme per difendere i confini esterni della Ue. Dopo il patto in sede comunitaria sui richiedenti asilo e i rimpatri, occorrerebbe un confronto anche sul soccorso in mare.



Ammiraglio, ci troviamo di fronte a una nuova strage di migranti: cosa non ha funzionato ancora una volta?

Non ha funzionato la cooperazione del soccorso in mare, che non esiste in campo europeo.

L’8 giugno è stato trovato un accordo in sede Ue sui migranti: non riguarda anche il soccorso in mare?

Riguarda i ricollocamenti e l’asilo, anche il rimpatrio nei Paesi di transito, ma non è toccato il salvataggio in mare. Che continua a essere fuori dalle competenze dell’Unione Europea.

Cosa dovrebbe fare la Ue a questo proposito?

Potrebbe svolgere un’azione di coordinamento e armonizzazione in materia normativa.

In che cosa consiste?

L’armonizzazione in questo caso è necessaria in relazione al concetto di “distress”, cioè delle condizioni che rendono necessario il soccorso in mare. Esistono documenti dell’Imo (International Maritime Organization), convenzioni sul soccorso in mare, come quella di Amburgo e sul diritto del mare, che stabiliscono l’obbligo di soccorso in caso di necessità sia da parte delle imbarcazioni mercantili o di navi da guerra che incontrano una nave in difficoltà, sia da parte degli Stati, che sono responsabili delle zone di ricerca e soccorso (Sar): esiste un obbligo individuale, delle singole navi, e un obbligo istituzionale.

Qual è il problema allora se si tratta di migranti?

Questi principi sono stabiliti per le navi da trasporto, da diporto, per le barche a vela, per i motoscafi, ma non per le imbarcazioni su cui viaggiano i migranti. Questo è il dramma del soccorso nei loro confronti: ci sono delle norme da applicare che non sono fatte per loro.

Di quale armonizzazione avremmo bisogno allora?

Nell’applicazione delle norme c’è una divergenza tra gli Stati. Riguarda principalmente due aspetti: il primo è l’obbligo di intervenire in caso di soccorso da parte degli Stati competenti nella regione di ricerca e soccorso, search and rescue (Sar). C’è l’obbligo di intervenire, ma poi dove devono essere sbarcati i migranti soccorsi? Malta ad esempio sostiene che, anche se interviene in soccorso, non è detto che poi debba sbarcare le persone salvate a La Valletta. Andrebbero trasferite, invece, nel porto più vicino. E normalmente il porto più vicino è Lampedusa. C’è quindi una divergenza di interpretazione degli Stati in questa materia.

Nel caso della strage greca come ha inciso la diversa interpretazione della situazione?

Qui la divergenza di opinioni riguarda il “distress”, perché non si dice quando si configura una situazione di necessità tale da rendere obbligatorio il soccorso. L’Italia, ad esempio, ha una concezione diversa, a questo proposito, rispetto agli altri Stati, in particolare rispetto a Grecia e Malta.

Qual è la differenza di interpretazione?

Gli altri Stati sostengono che se l’imbarcazione che trasporta migranti non chiede espressamente di essere soccorsa va lasciata navigare, a meno che non stia imbarcando acqua e si veda che è in difficoltà. Hanno un concetto riduttivo del “distress” che presuppone la richiesta di soccorso oppure una inconfutabile situazione che configura un naufragio in corso o imminente.

L’Italia, invece, che approccio prevede quando c’è un’imbarcazione di migranti?

Secondo l’Italia l’approccio deve essere precauzionale. Se vedo un’imbarcazione sovraccarica, già devo immaginare cosa potrebbe succedere. Devo fare una valutazione, secondo certi parametri: il bordo libero, ad esempio. Se l’imbarcazione è troppo appoppata, affondata, è chiaro che è sovraccarica, anche se in coperta non vedo nessuno. Nel caso di Cutro non si vedeva niente, sembrava che fosse tutto in ordine, anche se lo scanner termico aveva individuato molta gente sottocoperta. Queste considerazioni sono fondamentali per capire in parte la tragedia di Cutro, ma soprattutto quella di questi giorni in Grecia.

Cosa è successo nel caso della tragedia in Grecia?

I greci sono andati lì più volte, hanno dato l’acqua ai migranti, li hanno riforniti. Dalla barca hanno detto che dovevano proseguire verso l’Italia e li hanno lasciati andare. Sarebbe andata diversamente se adottando l’approccio precauzionale la Guardia costiera greca avesse detto: “No, alt, voi siete unsafe. Non potete navigare, adesso ci seguite e andiamo in porto”.

Come deve intervenire allora l’Ue per mettere a posto le cose?

La Ue potrebbe acquisire un punto di vista comune fra tutti gli Stati membri sulle situazioni che legittimano il soccorso in mare.

Dovrebbe stabilire delle regole comuni, un approccio unico da parte dei diversi Stati?

Il principale punto di divergenza è questo: occorre stabilire una visione comune, armonizzando le divergenze di opinione in materia di condizioni di “distress”, che rendano obbligatorio il soccorso, a prescindere dalla richiesta di aiuto. Non costerebbe niente riunire intorno a un tavolo i 27 Paesi della Ue e cercare una posizione condivisa in questa materia. Nelle leggi dei singoli Paesi si parla di situazioni che richiedono il soccorso. Ma ci vuole un’interpretazione delle situazioni. Per lo meno ci deve essere un documento di base dell’Unione Europea che dica che queste imbarcazioni non possono navigare e che quindi devono essere soccorse appena vengono avvistate.

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