Settanta morti su un barcone al largo della Tunisia. La parola nuova è Tunisia. Infatti ai naufragi e agli annegati e agli immigrati e alla Libia siamo orrendamente abituati, e ciascuno si rifugia nella propria ideologia consolidata senza farsi troppo turbare. Io spero allora che questo nome, “Tunisia”, ci strappi dalle solite considerazioni, ridiscutendole nel profondo. Costringendoci a paragonarci gli uni con gli altri, uscendo dalla logica della popolarità e degli umori percepiti, per salvare le persone migranti, l’Africa, l’Europa, ma direi anche – come diceva una volta il catechismo – l’anima. Non dovremo rendere un giorno conto a Dio? Ricordiamocene.



Qui propongo qualche spunto schematicissimo che porgo anzitutto a me stesso.

1. La tesi della destra (semplifico!) è questa: soccorrere i gommoni fa partire altri gommoni; spinge nuovi sciagurati a muoversi dall’Africa nera. In sociologia e psicologia sociale si chiama pull-effect (effetto-spinta). Chiudere i porti, fermare le navi Ong come la Mare Jonio, è dunque un modo per far morire meno gente. I numeri confermano.



2. La tesi della sinistra (ri-semplifico!) È opposta. L’immigrazione è un fatto insopprimibile. La necessità costringe a scelte a rischio della vita. Che fai? Lasci che muoiano dei bambini a scopo pedagogico verso i disperati? Va contro le leggi del mare e dell’umanità.

3. Però qui salta fuori il nome nuovo: Tunisia. Significa che in Libia gli scafisti e i guardacoste (spesso complici) hanno altro da fare: la guerra. Intanto i circa 600mila migranti bloccati in Libia stanno da bestie, da schiavi, chiusi in stie come polli, qualcosa di intollerabile.

4. Possibile che non ci sia nulla da fare lì? Che dobbiamo fermarci al mare? E litigare sui gommoni e sui porti? (Sia chiaro, chi rischia di annegare va salvato!). Allarghiamo lo sguardo.



5. Ogni giorno la situazione del Nord Africa peggiora. La Tunisia pareva il luogo della stabilità, l’unico esperimento finito bene della primavera araba. Ora si sta assistendo ad un ampliarsi dello stato islamico – nessuno lo dice! – in Libia, Ciad, Mali, Sudan, Burkina Faso, in zone dell’Algeria e del Marocco. Le beghe italiane sono miopia pura, tanto più quando è la posizione del governo.

6. Più che mai è necessario davanti a questo scenario tragico ritrovare un luogo comune dove le diverse sensibilità culturali e politiche si ritrovino spogliate dai pregiudizi, per lavorare insieme e trovare soluzioni comuni davanti a una questione epocale. Utopia? Oggi è utopia. Ma non c’è altra strada di questo metodo.

7. La strada per ciascuno di noi, a qualsiasi livello di responsabilità, è lasciarci ferire da questo dolore, non restare impermeabili. Farci bucare, bruciare, scuotere dalla realtà. Non siamo pedine impotenti, anche senza potere abbiamo un compito.