Nessun discorso pubblico. Mattarella ha fatto visita ai superstiti del naufragio di Cutro, ha abbracciato i parenti delle vittime, poi ha sostato in silenzio davanti alle bare. Ora toccherà alla magistratura fare luce sugli eventi di domenica mattina, per accertare le responsabilità. Il ministro dell’Interno Piantedosi riferirà alle Camere il 7 e 8 marzo.



Abbiamo parlato della tragedia con l’ammiraglio Fabio Caffioesperto di diritto internazionale marittimo. Con una premessa. Il dramma di Cutro va diviso in due parti. In queste ore il dolore e lo sdegno si concentrano sull’epilogo, sui quei maledetti ultimi cento metri di mare che hanno visto annegare uomini, donne e bambini. Ma prima o poi bisognerà pensare anche al punto di partenza, a quella lunghissima rotta che parte dalla Turchia, per capire se un accordo con Ankara è possibile.



Il salvataggio potrebbe non essere partito perché Frontex non ha lanciato l’operazione Sar (Search and Rescue). D’altra parte la nota di Frontex contiene una sorta di liberatoria: “Sono sempre le autorità nazionali competenti a classificare un evento come ricerca e salvataggio”. Come stanno le cose? 

Frontex non ha in sé e per sé una competenza Sar. Il regolamento (Ue) 656/2014 che ne disciplina l’attività contempla tuttavia, all’art. 10, casi in cui si configurino eventi Sar, fornendo indicazioni ai mezzi dell’Agenzia per valutare situazioni di incertezza che tengano conto, ad esempio, di fattori quali “la navigabilità del natante e la probabilità che questo non raggiunga la destinazione finale”.



E poi?

A seconda che Frontex valuti o meno l’esistenza di una situazione di pericolo (distress), il Regolamento prevede che vengano informate le autorità Sar competenti per zona. Nel nostro caso sarebbe interessante sapere, nel momento in cui l’aereo Frontex impegnato nell’Operazione Themis ha rilevato un’anomalia come l’elevata “temperatura” dell’immagine a infrarosso nell’imbarcazione poi affondata, quale fosse questa autorità.

In queste ore emergono singole voci del Corpo delle capitanerie di porto Guardia costiera che si potrebbero riassumere così: potevamo salvarli ma non lo abbiamo fatto, oppure: “salvare vite era il nostro vanto, la politica ha cambiato tutto”. Come commenta?

La nostra Guardia costiera, un vero vanto della nazione in ambito europeo ed internazionale, può reclamare dei primati per l’impegno profuso in trent’anni di immigrazione via mare nel salvare, in cooperazione con Marina militare, Guardia di finanza e navi mercantili, centinaia di migliaia di persone. Se simili voci ci sono state, sorprende che si accenni alle responsabilità della politica per il soccorso in mare.

Perché sarebbe sorprendente?

Perché si tratta di una materia regolamentata da numerose norme nazionali ed internazionali che hanno carattere cogente. L’Italia, tra l’altro, è uno dei pochi Paesi al mondo che esercita sistematicamente giurisdizione per il reato di omissione di soccorso in mare contemplato dal Codice della navigazione. Evidenziando così l’elevato valore sociale e morale attribuito al rispetto degli obblighi di soccorso.

Si polemizza sul fatto che una operazione di soccorso sia stata trasformata in “operazione di polizia”. Cosa può dirci in merito?

Come riporta la stampa, probabilmente gli organi di Frontex non hanno valutato la probabilità dell’esistenza di una situazione di distress e quindi non hanno attivato la catena di soccorso. Di qui, la semplice “operazione di polizia” svolta dalla Guardia di finanza che tra l’altro opera in vicinanza del limite di 12 miglia delle acque territoriali, dal momento che l’Italia non esercita giurisdizione contro l’immigrazione irregolare nella fascia della 24 miglia della “Zona contigua” astrattamente prevista dalla legge Fini-Bossi del 2002. Certo ci sarebbe molto da dire sulla diversa interpretazione del distress.

Perché dice questo?

Perché certi Paesi ritengono sussistere il distress solo in casi estremi o di esplicito Sos (distress call), mentre l’Italia configura in via precauzionale  tale pericolo sulla base di parametri oggettivi quali il sovraccarico dell’imbarcazione. Nel caso in questione non risulta tuttavia che le autorità italiane abbiano avuto contezza dell’esistenza di una situazione di distress. L’autorità italiana competente per il Sar – una volta che si configuri un distress – è quella stabilita dal Dpr 662/1994, il “Rome Mrcc” incardinato presso il Comando generale del corpo delle capitanerie Guardia costiera, dipendente dai Trasporti, che, come dicevo, è una nostra eccellenza.

Si può parlare di sovrapposizione con la Guardia di finanza?

No, in quanto in un evento che si configura come un ingresso irregolare nei confini dello Stato che a prima vista non concretizza una situazione Sar, la sua competenza è primaria ed esclusiva. Il Corpo è infatti responsabile, per conto dell’Interno, dell’ordine e sicurezza pubblica sul mare, funzione che, per quanto riguarda “le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare” è svolta ai sensi del Dm 19 giugno 2003, emanato in attuazione della legge Fini-Bossi del 2002, che si propone di svolgere tali attività in modo coordinato con le altre forze operanti in mare, vale a dire Marina militare e Guardia costiera.

C’è un aspetto della tragedia di Cutro di cui non si parla. Con la Turchia andrebbe stabilita una qualche forma di collaborazione?

Sicuramente andrebbe attivato un meccanismo di scambio di informazioni ai sensi dell’art. 10 del Protocol against the smuggling of migrants by land, sea and air, supplementing the United Nations Convention against transnational organized crime (Protocollo di Palermo), ratificato sia dall’Italia che dalla Turchia. Tra l’altro, questo protocollo – che tuttavia non è mai stato oggetto di accordi regionali applicativi – è citato in vari provvedimenti italiani come il recente decreto legge Piantedosi 1/2023.

Non andrebbero fermate le partenze?

Parlare di fermare le partenze è voler evidentemente enfatizzare l’esigenza di non alimentare pericolose attività criminali che sfruttano la disperazione delle persone. Non dimentichiamo che il viaggio dell’imbarcazione affondata davanti a Cutro potrebbe aver fruttato agli scafisti circa un milione di euro. Oltretutto, lo Stato di origine non può accettare che dalle sue coste ci siano partenze illegali, per di più su imbarcazioni non idonee a navigare. La Turchia è uno Stato di diritto, e quindi è sicuramente interessata ad evitare queste attività contra legem rischiose per le persone coinvolte.

È applicabile l’accordo tra Ue e Turchia risalente alla crisi migratoria del 2015 e voluto dalla Merkel?

Quella soluzione, non disciplinata da uno specifico trattato internazionale ma basata in parte su intese informali, prevede “riaccompagnamenti” dalle acque greche verso la Turchia in zone di mare limitrofe ai due Stati. Nel nostro caso non sarebbe forse realizzabile. A meno di non richiedere alla Ue che la sua applicazione sia estesa ai casi in cui le imbarcazioni dirette verso l’Italia vengano intercettate mentre sono nelle fasi iniziali della navigazione, in acque greche prossime a quelle turche e ci sia evidenza che il viaggio è iniziato dalla Turchia.

(Federico Ferraù)

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