Decine di morti, persone sbalzate in acqua mentre si trovavano sull’ennesimo barcone della speranza, diventato teatro di un’immane tragedia, che ha distrutto intere famiglie. La vicenda che si è sviluppata sulle coste crotonesi pone molti interrogativi: una nuova rotta dalla Turchia che sta prendendo piede, trafficanti sempre più spregiudicati, un’Europa che vorrebbe ridurre gli arrivi con una politica di rimpatri ma che non ha ancora fatto abbastanza. E che non ha una visione d’insieme e di lungo periodo del problema. Lo spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e InsideOver.
Quella che porta nella zona di Crotone è da considerare una rotta anomala oppure è diventata un’altra direttrice degli sbarchi?
Da due anni è una rotta molto frequentata: viene usata da chi parte della Turchia, quindi una rotta del Mediterraneo orientale che poi arriva in Italia. Qualche anno fa chi partiva dalla penisola anatolica andava soprattutto verso la Grecia. Però lì oggi vanno in particolare le carovane di migranti che via terra seguono la rotta balcanica. Via mare, invece, si passa per l’Italia. Da un anno a questa parte sempre in Calabria, quindi nella parte ionica, sbarcano pure i migranti che partono dalla Cirenaica, dall’Est della Libia, che è una nuova rotta. Le coste del Crotonese, anche se non come Lampedusa, spesso sono sotto pressione per via degli sbarchi.
Chi sono i migranti che arrivano attraverso la rotta turca?
In Turchia arrivano persone dall’Iraq, dalla Siria, dal Bangladesh. Arrivano o semplicemente attraversando le frontiere, come nel caso dei siriani e degli iracheni, o attraverso la via aerea che porta a Istanbul: ci sono molti voli che vengono dal Bangladesh, uno dei Paesi dai quali esce maggiore manodopera. Poi ci sono migranti sempre del Medio Oriente e dell’Asia. A volte pure degli egiziani.
Come funziona questa direttrice?
Possiamo dire che la Turchia è una sorta di hub, sia per il Medio Oriente che per l’Egitto e l’Asia. Da qui vengono fatti imbarcare per l’Italia. Il più delle volte si tratta di barconi molto capienti. L’entità della strage di questi giorni dipende dal fatto che vengono utilizzati barconi molto grandi per fare anche quattro, cinque giorni di viaggio. In estate questa tratta viene percorsa con imbarcazioni di lusso, perché si confondono con le imbarcazioni turistiche.
Rispetto alle rotte più tradizionali qual è la percentuale di persone che arriva da questa parte rispetto al Nord Africa?
La rotta tunisina e quella libica sono sempre le più importanti per l’Italia. Non c’è una statistica, ma si può dire che un 15-20% di sbarchi arrivano anche da queste zone.
Quali sono le ragioni di questo naufragio da punto di vita della navigazione?
Dalle dinamiche sembrerebbe una tragica fatalità, nel senso che l’imbarcazione ha raggiunto una secca al largo della costa e questo ha comportato un ribaltamento e il naufragio. Chiaramente questo testimonia che i viaggi organizzati dai trafficanti, che siano operativi nel Maghreb o in Turchia, sono sempre un pericolo per i migranti. Si tratta comunque di imbarcazioni a volte non in grado di resistere alle intemperie o ai viaggi lunghi. Un’imbarcazione normale avrebbe gli strumenti per sapere dov’è una secca. Non è la prima volta che un naufragio colpisce queste zone, non di questa entità ma ci sono state anche altre tragedie. Non è un fenomeno raro che gli abitanti di quest’area si trovino cadaveri sulla spiaggia. Anche perché lo Ionio ha un contesto marino piuttosto difficile.
Ma le Ong non operano da quella parte?
No, le Ong lì non sono presenti. Hanno iniziato nel 2016 nell’Egeo e si sono occupate delle rotte del Mediterraneo orientale, poi si sono spostate davanti alle coste libiche sulle rotte del Mediterraneo centrale. Operano quasi esclusivamente lì, probabilmente per la legge dei grandi numeri perché gran parte degli sbarchi passa da quelle rotte.
Ora anche Mattarella ha chiesto un intervento da parte dell’Unione Europea per evitare tragedie come questa.
Il suo intervento nasce prima di tutto dall’emozione suscitata da un fatto del genere: non dobbiamo abituarci alle morti. Da tre anni, tra il Covid e la guerra in Ucraina, non ci facciamo quasi caso a bollettini che parlano di vite umane spezzate. Subire la morte di quasi cento persone in una domenica tranquilla davanti alle coste calabresi desta molta emozione e ha spinto Mattarella a chiedere di intervenire. Il dibattito in Europa in questi giorni è molto forte per quanto riguarda l’immigrazione.
Ma l’Europa come sta affrontando il problema?
Nel recente Consiglio europeo la tematica migratoria è stata messa al primo posto, si parla di maggiori interventi di contrasto all’immigrazione illegale e sta passando una linea, che non è solo dell’Italia ma anche di Paesi del Nord Europa, che chiedono la fine delle partenze piuttosto che soltanto interventi quando avvengono le tragedie. Il Quirinale ha voluto inserirsi in questo dibattito e richiamare l’Europa alle sue responsabilità.
L’Ue parla anche di muri, quindi di contrasto molto netto, rigido, all’immigrazione illegale. Al di là di questo il flusso migratorio è continuo. Cosa si può fare per arginare il fenomeno?
Il muro in qualche modo è un palliativo, infatti la proposta avanzata da sette Paesi, tra cui la Grecia e la Lettonia, distanti tra loro geograficamente e politicamente, è quella di aumentare i rimpatri. E su questo tema l’Unione Europea, così come l’Italia, sembrano molto d’accordo. Con i rimpatri si dà l’idea della difficoltà materiale ad accedere in Europa e questo indurrebbe le persone a non partire. Questi Paesi hanno chiesto anche di ridiscutere il sistema di accoglienza e di asilo. Ci sono delle dinamiche di cui la Ue deve farsi carico perché ogni Paese non può andare a trattare con il Paese in cui si origina il flusso migratorio per cercare accordi sui rimpatri o economici. Serve un piano che dal punto di vista economico, giuridico e politico possa andare ad aggredire i problemi.
L’Europa sta facendo qualcosa per ridurre l’entità dei flussi?
Quando assistiamo a dei naufragi siamo di fronte a un tipo di fenomeno migratorio che è quello illegale, gestito dai trafficanti. La domanda da porsi è questa: perché i migranti scelgono i trafficanti piuttosto che le vie ordinarie? La risposta sta nel fatto che l’orientamento dell’Europa negli ultimi vent’anni è stato volto a favorire la migrazione dai Paesi dell’Est Europa e dall’altro lato ha reso più difficile l’ottenimento dei visti per i Paesi del Maghreb. Il primo muro alzato è un muro giuridico che penalizza i migranti del Nord Africa e da qui nasce spesso la spinta per i flussi migratori illegali.
La soluzione quale potrebbe essere?
La soluzione potrebbe arrivare con accordi di cooperazione di Paesi del Maghreb volti a stabilire delle quote di migranti, facilitando l’accesso di alcune categorie piuttosto che altre. Un po’ quello che accadeva prima del trattato di Dublino del 1991. Al momento, però, questi discorsi non vengono presi in considerazione. Per il momento l’obiettivo principale è affrontare l’emergenza, ridimensionare il prima possibile i flussi migratori.
Non è possibile, con programmi di più largo respiro, cercare accordi economici per favorire lo sviluppo dei Paesi da cui partono i migranti e quindi non rendere più necessario per loro migrare in cerca di fortuna?
A livello europeo questo tipo di accordi non sono all’orizzonte. Si stanno muovendo i singoli Paesi: l’Italia, ad esempio, vuol portare avanti la politica del piano Mattei proprio per cercare di investire in questi Paesi, soprattutto nordafricani. Ma a livello europeo non sembrano esserci programmi di questo tipo: non si hanno grandi visioni a lungo termine. Per adesso l’unica visione che si ha è nel breve e medio termine. La percezione del fenomeno è solo sull’emergenza.
(Paolo Rossetti)
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