Non se ne parla proprio. È come se non stesse accadendo nulla. Copertura mediatica nazionale e internazionale praticamente inesistente. Eppure non è difficile mandare un giornalista o una troupe televisiva a fare un servizio, visto che a Lamezia c’è un aeroporto. Ma forse il processo “Rinascita Scott” apre un campo nuovo, troppo nuovo, per essere metabolizzato. I suoi numeri sono impressionanti e significativi: 325 imputati, 438 capi di imputazione, 913 testimoni d’accusa, 58 collaboratori di giustizia in un’enorme aula bunker costruita appositamente. Questo storico evento ricorda, per la sua imponenza, il maxiprocesso di Palermo del 1985. Ma con una differenza sostanziale. Sono state acquisite notizie fondamentali e decisive sui rapporti organici tra criminalità e logge coperte. Insomma ciò che aveva detto il maestro aggiunto del Goi nel ’92 al gran maestro Di Bernardo, sulla presenza di mafiosi in logge segrete, sta diventando certezza storica e verificata attraverso riscontri oggettivi. In un’intercettazione il boss di Limbadi dice: “bisogna modernizzarsi… non stare con le vecchie regole, perché il mondo cambia e bisogna cambiare tutte cose! Oggi la chiamiamo ‘massoneria’… domani la chiamiamo P4, P6, P9”.
La coraggiosa azione del procuratore Gratteri, profondo conoscitore del fenomeno ndranghetista e autore di documentati testi sull’argomento, obbliga, così, a riscrivere una storia datata e ingenua della ’ndrangheta. Emerge, infatti, che non abbiamo a che fare con un livello di criminalità brutale e feroce, ma con un centro di potere trasversale, “la Santa”, operante fin dagli anni 70, con una pervasiva capacità di infiltrazione, grazie appunto a poteri oscuri e ben impiantati nei gangli della vita sociale.
Dunque è proprio questa tirannia nascosta che flagella la Calabria ad essere sotto processo. Ecco perché l’informazione su ciò che accade è necessaria e doverosa, a salvaguardia della democrazia e delle istituzioni. E anche a Reggio Calabria, con il processo Gotha, portato avanti grazie all’azione del procuratore Lombardo e dei suoi collaboratori, si è giunti a medesime conclusioni. Lascia di stucco sapere che Franco Freda, accusato della strage di Piazza Fontana, fu nascosto e ospitato a Reggio Calabria nel 1979 grazie all’aiuto di insospettabili interni a logge coperte. D’altro canto, le certezze oggettive ottenute impongono un’attenzione nuova e più mirata sulle stragi del ’92 e ’93. In un testo divulgativo da poco uscito, Non chiamateli eroi. Falcone, Borsellino e altre storia di lotta alla mafia (Mondadori 2021), Gratteri e Nicaso continuano, perciò, la loro opera di aiuto alla conoscenza e alla verità, già espressa in altri testi accurati come il recente La rete degli invisibili. La ’ndrangheta nell’era digitale: meno sangue più trame sommerse (Mondadori 2021).
Allora i processi in corso non sono una pur importante azione penale a protezione della collettività, ma un vero aiuto alla liberazione di una terra amara e soffocata dal buio. I giovani calabresi non vogliono la ndranghetizzazione della Regione o un’asfissiante giuridicizzazione della realtà, perché aspirano a un futuro diverso. Vogliono essere responsabili della loro vita senza poteri legalistici o tirannici. Sono consapevoli che non si può morire di disoccupazione o per malattie dovute a rifiuti tossici, interrati vicini a centri abitati. Le manifestazioni a Vibo di tantissime persone, il festival Trame a Lamezia Terme, le iniziative dei giovani universitari e l’impegno sociale di gruppi emerso dopo l’omicidio di Fortugno, oltre alla resistenza etica di tanti uomini di buona volontà, sono segni di speranza.
La lunga quaresima, recentemente evocata dal procuratore Gratteri, squarciata dal grido-monito di scomunica di San Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi e dalle parole di Papa Francesco, sembra essere ora a metà strada, lasciando intravedere, finalmente, alcune luci, in grado di oltrepassare la notte della criminalità e della massoneria deviata.
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