Si sarebbe dovuta presentare in un Tribunale di Venezia all’ottavo mese di gravidanza, attraversando – dalla sua Genova – l’intero Nord del nostro bel paese e nonostante il codice penale glielo concedesse, l’avvocato Federica Tartara si è vista negare il cosiddetto legittimo impedimento: una situazione a dir poco assurda, inizialmente raccontata solamente tramite i social e poi arrivata fino alle orecchie delle maggiori testate giornalistiche; giungendo – forte anche di un esposto presentato dalla stessa Federica Tartara – infine sui banchi del Consiglio superiore della Magistratura, dell’Ordine degli avvocati di Genova, della Camera penale ligure e della Commissione sulle pari opportunità che sembrano concordare tutte l’evidente violazione del Codice penale.
Facendo un passetto indietro, per comprendere meglio quanto accaduto a Federica Tartara è importante ricordare che in quel di Venezia avrebbe dovuto difendere una coppia di marito e moglie accusati di appropriazione indebita: il caso era arrivato sulla sua scrivania lo scorso 4 novembre quando la coppia era rimasta senza un difensore, con l’udienza già fissata per ilo 12 dello stesso mese. Conscia della sua ‘dolce attesa’, la legale aveva deciso comunque di farsi carico del caso, inoltrando immediatamente il suo certificato medico al tribunale veneziano con l’obiettivo di ottenere il legittimo impedimento previsto dall’articolo 420 del Codice di procedure penale e una nuova data per l’udienza.
Federica Tartara: “Minato il diritto fondamentale della difesa dei miei assistiti”
Fino a qui tutto bene, ma – racconta la stessa Federica Tartara ad Adnkronos – “il giudice, oltretutto donna ed anche più giovane di me, lo ha negato” giustificandosi con il fatto che “vi fossero già stati troppo rinvii” e precisando che “un legale che sa di non potersi assumere un incarico, non dovrebbe assumerlo”; il tutto peraltro ignorando – oltre al già citato articolo del Codice – che secondo la legge “il rinvio per legittimo impedimento del difensore sospende la prescrizione” evitando qualsiasi “vulnus processuale”.
Il caso – continua Tartara – è stato dunque difeso da un collega di Venezia che aveva prontamente nominato ma che “non conosceva gli atti“, con l’ovvia conseguenza che la coppia è stata condannata a due anni di reclusione e al pagamento di 15mila euro di provvisionale senza “un’adeguata assistenza difensiva” che avrebbe interamente minato “i diritto fondamentali della difesa”; il tutto – peraltro – in un chiaro “atto discriminatorio non solo nei confronti delle donne ma anche delle libere professioniste”.