Per la politica è arrivato il momento di capire come reagire al negazionismo climatico. In primis, bisognerebbe ammettere che non è poi così diverso da quello storico. Ma soprattutto dovrebbe essere un reato, secondo il professor Gianfranco Pellegrino, associato di filosofia politica alla LUISS Guido Carli. Ne ha parlato sulle colonne del Domani, suggerendo di imparare a gestire il negazionismo climatico, visto che l’alluvione in Emilia-Romagna ha evidenziato la crisi di conoscenza degli effetti del cambiamento climatico. Tra l’altro, paradossalmente, quando si verificano catastrofi di questo tipo, i negazionisti acquistano maggiore visibilità, oltre che coraggio. «Il negazionismo è un tentativo di negare le colpe di non aver fatto abbastanza», scrive Pellegrino. Questo è il caso di politici, pubblici funzionari, professionisti vari dell’amministrazione e dell’informazione.
È anche un modo per evitare di vedere cosa ci aspetta, col carico di responsabilità che ne consegue. «Questo è il negazionismo della persona comune, per così dire, dei cittadini poco informati, dei cospirazionisti, dei leoni da tastiera, degli ospiti fissi dei talk show». Ma bisogna reagire, per il professore della LUISS è arrivato il momento di decidere come rapportarsi al negazionismo climatico. In questi casi, in nome della libertà di pensiero, si sostiene che non possano non essere ascoltati e che il fact checking è la migliore arma contro le bufale che diffondono. Ma bisognerebbe anche rendere l’idea del fenomeno, «i negazionisti sono una minoranza sparuta e spesso una minoranza formata da incompetenti – persone che non hanno una formazione adeguata, per quanto possano avere una qualche formazione scientifica, o mosse con tutta evidenza da interessi che influenzano i loro pronunciamenti pubblici».
“CHI NEGA OLOCAUSTO VA DIFESO IN NOME DELLA LIBERTÀ DI OPINIONE?”
Ma evidentemente questo approccio è insufficiente per il professor Gianfranco Pellegrino, secondo cui bisogna ammettere che il negazionismo climatico non è diverso dagli altri, a partire da quello storico. A questo punto, apre una riflessione sul Domani: «Chi nega l’Olocausto può essere difeso in nome della libertà di opinione?». Per il docente è, quindi, arrivato il momento di equiparare il negazionismo climatico a quello storico, del resto «il legame fra cambiamento climatico e i disastri cui stiamo assistendo è provato, con i mezzi e le certezze a disposizione della migliore scienza, così come sono provati i fatti e le responsabilità dietro l’Olocausto, con i mezzi e le certezze della migliore ricerca storica». Quando si nega tutto ciò, non si sta semplicemente esprimendo un’opinione, ma si offendono vittime e si commette un atto pericoloso, perché «può rallentare il processo democratico che porta ad acquisire consapevolezza del pericolo e a chiedere ai decisori di agire tempestivamente».
In altre parole, per Pellegrino «le omissioni e i ritardi che portano al disastro di oggi sono in parte anche colpa dei negazionisti. Quei morti sono anche colpa loro». Per avere politiche climatiche migliori, senza rinunciare alla democrazia, bisogna tutelarsi da chi «inquina la discussione pubblica e turba il meccanismo di comunicazione» tra la maggioranza dei cittadini e i governanti. «Contro il negazionismo climatico la reazione deve essere ferma e si deve spingere, in certi casi, anche alla repressione penale», conclude il professor Pellegrino.