Quando un autore di dischi (Bob Dylan, per la cronaca) vince il Premio Nobel per la letteratura, allo stesso modo di “sommi scrittori” studiati nelle scuole e nelle università, acclamati come ad esempio James Joyce, Giosuè Carducci, William Yates, Grazia Deledda, Pirandello, Montale, e via così, si può ancora dire che la musica non è cultura? Attenzione: non solo la musica rock o pop che dir si voglia, ma anche le incisioni della cosiddetta musica classica, da Beethoven a Mozart. Se si è in Italia sì. Accade infatti in questo periodo di lockdown, restrizioni, e chiusure che se si entra in un grande centro come una Feltrinelli, una Mondadori, che da sempre insieme ai libri vendono anche i dischi, si possa tranquillamente fare acquisti di libri, ma quando ci si imbatte negli scaffali dei dischi, ci si trova davanti a catene e divieti. Non ci si può neanche avvicinare. Come in un incubo orwelliano, per decreto governativo, è vietato vendere e acquistare dischi. Inutile dire che i negozi unicamente dediti alla vendita di dischi devono tenere la saracinesca giù. Una doppia palese presa in giro: prima il divieto di vendere un prodotto che ha una altissima valenza culturale, la musica, poi quella di poter girare tranquillamente nei reparti libri dove, evidentemente secondo chi ci governa, il Covid non entra, ma non negli adiacenti reparti dischi che si trovano nello stesso edificio, dove per i nostri legislatori invece il Covid fa strage.



IL PARADOSSO: LIBRERIE APERTE, NEGODI DI DISCHI CHIUSI

E’ un paradosso umiliante per chi è cresciuto, si è appassionato, ne ha fatto anche una ragione di vita, dell’ascolto della musica. Ma da sempre in Italia funziona così, visto che l’Iva sui dischi è tre volte tanto di quella imposta sui libri. Il libro infatti gode di un’Iva agevolata, solo il 4%, mentre il disco è considerato un bene di lusso, con una Iva del 22%. Il tutto poi suona ridicolo quando, purtroppo, il negozio di dischi, per motivi troppo lunghi da spiegare qui, dovuti essenzialmente alla nascita e allo sviluppo della cosiddetta musica liquida, quella scaricabile online sono rimasti pochissimi, essendo un settore in crisi: circa duecento in tutto il paese. Una ghettizzazione culturale, in sostanza. Una classe dirigente che si è dimenticata che l’uomo ha imparato a comunicare prima con la musica che con la parola o la scrittura, citando Beethoven: “Dove le parole non arrivano… la musica parla.” Ma niente paura: le profumerie, quelle sì essenziali alla vita, sono aperte.

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