I NEGOZIATI RUSSIA-UCRAINA SI TERRANNO A ISTANBUL

Aggiornamento importante circa i negoziati che si terranno tra domani e il prossimo 30 marzo: i Presidenti di Russia e Turchia, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, hanno concordato oggi in un colloquio telefonico che l’imminente round dei colloqui di pace si terrà a Istanbul e non ad Antalya.



La notizia non.è da poco perché simbolicamente l’approdo nella città più importante della Turchia rappresenta una sorta di “evoluzione” del livello dei negoziati di pace rispetto ai round precedenti. Lo stesso Erdogan ha poi intimato all’omologo russo di adottare «il cessate il fuoco il prima possibile». Nel frattempo, dal fronte Ucraina il Presidente Zelensky torna a sferzare l’Occidente con la richiesta di maggiori aiuti e sostegni militari in guerra: «L’Occidente gioca a ping-pong nel decidere chi dovrebbe mandare i jet», attacca il leader ucraino . Ancora Zelensky, contestando la scarsa presenza della Nato, ribadisce «Ho parlato con i difensori di Mariupol. Sono in costante contatto con loro. La loro determinazione, il loro eroismo e la loro fermezza sono straordinarie. Se solo coloro che da 31 giorni stanno pensando come mandarci aerei e tank avessero l’1% del loro coraggio».



TURCHIA: “NEGOZIATI DI PACE DAL 28 AL 30 MARZO AD ANTALYA”

«Oggi è stata presa la decisione di tenere il prossimo round di trattative dal vivo con le due delegazioni in Turchia il 28-30 marzo»: lo ha reso noto David Arahamiya, membro della delegazione ucraina e deputato di Kiev.

Riprendono dunque i negoziati in presenza tra le rispettive delegazioni in guerra da ormai 31 giorni e senza ancora un vero accordo raggiunto per il cessate il fuoco: l’evoluzione anche internazionale c’è stata negli ultimi tempi anche se il “caos” generato dal Presidente Biden rischia di rallentare ulteriormente le trattative tra Occidente e Cremlino. Sarà ancora la città di Antalya in Turchia – già sede del vertice dello scorso 10 marzo tra i Ministri degli Esteri Lavrov e Kuleba – ad ospitare le delegazioni di Kiev e Mosca: prima un incontro preliminare lunedì 28 marzo poi gli effettivi colloqui martedì e mercoledì. Si riparte da quei 4 punti (sui 6 totali messi sul tavolo) in cui vi sarebbe un flebile accordo tra le parti: li aveva riassunti così il Presidente Erdogan negli scorsi giorni, invocando l’impegno non solo della Turchia per ottenere una tregua duratura tra Russia e Ucraina, «Il primo capitolo riguarda l’adesione dell’Ucraina alla Nato, un punto su cui il presidente ucraino Zelensky ha già compiuto un passo indietro. Il secondo riguarda il riconoscimento del russo come una lingua ufficiale del Paese e anche su questo Zelensky ha accettato. Maggiori criticità presenta il disarmo. Kiev non accetterà di rimanere completamente disarmata, ma è pronta a fare concessioni. Il quarto capitolo riguarda la sicurezza collettiva e anche qui Zelensky ha mostrato un atteggiamento collaborativo».



NEGOZIATI DI PACE: LO SFORZO DELLA TURCHIA

«Se tutti bruciano i ponti con la Russia, chi parlerà con loro alla fine della giornata?»: la Turchia torna a spingere con forza sui possibili negoziati di pace tra Ucraina e Mosca e lo fa a più riprese con il Ministro della Difesa Hulusi Akar e il portavoce presidenziale Ibrahim Kalin.

Mentre i vertici di Nato, G7 e Unione Europea negli scorsi giorni non hanno portato i risultati sperati tanto per l’Ucraina quanto per il Cremlino, le possibilità di concrete negoziazioni su larga scala restano ancora “risicate”. Erdogan, con Israele e il Vaticano, restano le ipotesi più probabili ad oggi per uno sviluppo concreto di tavoli negoziali tra le parti in guerra, anche se restano gli Stati Uniti ovviamente a giocare un ruolo comunque decisivo – probabilmente – per le sorti mondiali della guerra tra Kiev e Mosca. Da Ankara però non sono piaciute le parole di Biden in visita in Polonia quando ha parlato di Putin come un «macellaio» il quale non potrà «rimanere al potere in Russia»: «Kiev ha bisogno di più sostegno per difendersi, ma noi continueremo a fare tutto il possibile per il cessate il fuoco in Ucraina», ribadisce il Ministro della Difesa turco.

UE E CASA BIANCA PRENDONO DISTANZE DA PAROLE BIDEN

Con Erdogan, anche Macron si dice tutt’altro che soddisfatto dalle dichiarazioni del Presidente Usa in quanto rischiano di compromettere la de-escalation di guerra nei possibili prossimi negoziati di pace. «Domani o dopodomani parlerò con Putin», fa sapere il Presidente dell’Eliseo, «non parlerei di “macellaio” per Putin», non bisogna alimentare «una escalation né di parole né di azioni sulla guerra in Ucraina». L’uscita di Biden è stata poi subito “ritoccata” dalla Casa Bianca che ha provato a prendere in parte le distanze dalla provocazione lanciata dal suo stesso Presidente: «Biden ha parlato a braccio», fanno sapere dal Governo Usa, aggiungendo poi con il Segretario di Stato Antony Blinken (in visita a Gerusalemme) «Come sapete, e come ci avete sentito dire più volte, non abbiamo una strategia per un cambio di regime in Russia, o in qualunque altro posto. Credo che il presidente e la Casa Bianca ieri sera abbiano affermato che, molto semplicemente, il presidente Putin non può essere autorizzato a scatenare una guerra o ad aggredire l’Ucraina o chiunque altro». Intanto i canali diplomatici di Ucraina e Russia continuano a discutere su possibili nuovi negoziati, ottenendo per oggi due corridoi umanitari aperti nel Donbass per far uscire ancora altri civili da Mariupol. Secondo però il generale Marco Bertolini, l’ex comandante del Coi (Comando Operativo di Vertice Interforze sentito dall’Adnkronos, «l’attività negoziale sta andando avanti, nonostante che sia stata messa in ombra dal giro di interventi di Zelensky ai parlamenti europei e dalla riunione con Biden a Bruxelles. E se sta andando avanti dobbiamo esserne grati a paesi come la Turchia, che sono riusciti a mantenere una posizione terza». Secondo il generale dunque Putin e Zelensky potrebbero comunque scendere ad un compromesso nel giro delle prossime settimane: «al di fuori dei negoziati non c’è una possibilità di concludere le operazioni. Negoziati in cui sia Russia che Ucraina potrebbero vantare davanti all’opinione pubblica di aver vinto qualcosa: Putin potrebbe dire di aver vinto l’indipendenza del Donbass, la sovranità russa sulla Crimea e che l’Ucraina non entri nella Nato. Dal canto suo – conclude il generale Bertolini – Zelensky potrebbe dire di aver vinto una grande battaglia politica dimostrando a tutto il mondo il coraggio del suo popolo, di aver mantenuto l’indipendenza pur rinunciando alla Nato e a qualche porzione di territorio. In condizioni normali (che vuol dire non avere chi dall’esterno soffia sul fuoco), entrambe le parti potrebbero così ritenersi soddisfatte e chiudere. Ma, purtroppo, non sono in gioco solo loro».