Ci sarebbe la bozza di un piano di pace. Entrambe le parti mischiano dichiarazioni su obiettivi realistici a richieste che non potranno essere accettate o che dovranno essere modificate. Fa parte dei negoziati, di ogni negoziato. Ieri è stato il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, a parlare di “accordi vicini”. Due questioni sono dirimenti: lo stato neutrale dell’Ucraina e le garanzie di sicurezza che le vanno riconosciute. “Si può supporre che si stia lavorando ad una neutralità internazionale dell’Ucraina”, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza.
Per il giurista potrebbe effettivamente essere la strada migliore. Una soluzione che conterrebbe un paradosso, quello di fare della stessa Russia un garante della sovranità di Kiev.
Partiamo dalla neutralità dell’Ucraina. Mosca parla di modello Svezia o Austria. Cosa significa?
Al momento le questioni tecniche si sovrappongono a quelle politiche e ciò non aiuta. Sembra di capire che Mosca preferisca una neutralità costituzionale, mentre Kiev potrebbe desiderare una neutralità internazionale.
La differenza?
La neutralità costituzionale è stabilita in costituzione o anche in una legge interna. È comunque frutto di una decisione autonoma, dunque revocabile: il legislatore costituzionale può cambiare la costituzione e fare una diversa scelta politica. La neutralità costituzionale è propria di Stati come Austria e Giappone.
Invece la neutralità internazionale?
È garantita da un trattato internazionale. È più penalizzante per il Paese neutrale, il quale non può abolire unilateralmente il proprio status di neutrale, ma è anche più sicura.
Che cosa stabilisce il trattato?
Si definisce trattato di neutralizzazione. Gli stati firmatari possono assumere il ruolo di garanti dello status di neutralità, che in questo caso si fonda su un equilibrio garantito internazionalmente. Il trattato potrebbe contenere anche una clausola che impegna le parti a non aggredire lo Stato neutrale o addirittura ad agire in aiuto di esso, se venisse aggredito. Paradossalmente, l’Ucraina potrebbe essere maggiormente garantita qualora la Russia fosse fra le potenze garanti dello status di neutralità.
“Si parla di modelli di neutralità svedesi o austriaci. Ma l’Ucraina è in uno stato di guerra diretta con la Russia. Pertanto il modello può essere solo ucraino e solo con garanzie di sicurezza (…) assolute. Efficaci, non da protocollo o tipo quelle di Budapest”, ha detto il consigliere della presidenza ucraina Mykhailo Podolyak. Cosa si può desumere da queste parole?
L’efficacia dello status di neutralità si rafforzerebbe qualora vi fosse un trattato multilaterale che lo garantisse. Ma a me sembra inverosimile che l’Ucraina sia disposta a rinunciare alle proprie forze armate. D’altra parte la Russia insiste nel volere la “smilitarizzazione” di Kiev, che potrebbe accontentarsi di un impegno a usare il proprio apparato militare per soli fini difensivi. Non è facile immaginare l’esito dei negoziati in corso.
Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha aperto alla possibilità che l’Ucraina possa conservare un proprio esercito dopo la guerra. Questo punto, ha detto, dovrà essere oggetto di trattative.
Potrebbe essere un segno che si valuta un ruolo difensivo dello strumento militare, e dunque che si sta lavorando ad una neutralità internazionale dell’Ucraina. Ma dobbiamo fermarci qui: per andare oltre dovremmo conoscere clausole che adesso non ci sono.
L’Unione Europea potrebbe assumere il ruolo di potenza garante della neutralità dell’Ucraina?
Perché no? La politica estera dell’Unione ha fatto passi da gigante in questa crisi. Fino a poco tempo fa sarebbe stato inimmaginabile che l’Unione fornisse armi a uno Stato terzo impegnato in un conflitto armato. Ma questo è quel che sta accadendo con la crisi ucraina.
Stando al Financial Times, pare che l’Ucraina chieda come paesi garanti Usa, Gran Bretagna e Turchia. Come commenta?
Mi sembra ragionevole che l’Ucraina voglia avere una sorta di collegio di garanti del proprio eventuale status di neutralità. Come ho detto, nonostante sembri paradossale, essa sarebbe ancor più garantita dalla presenza della Russia in tale collegio, il quale potrebbe dotarsi di strumenti di dialogo e cooperazione che potrebbero attenuare l’aggressività russa verso uno Stato che essa concepisce come ribelle.
Come vede le trattative alla luce di queste considerazioni?
Difficilissimo dirlo. Un accordo potrebbe essere realmente vicino, perché la guerra sul terreno sembra non andare bene per la Russia. Né gli ucraini possono seriamente pensare di stravincere. Una guerra di logoramento sarebbe, quindi, un rischio per entrambi: un rischio militare per l’Ucraina; un rischio politico per la Russia.
Che ruolo dare al cessate il fuoco? Non se ne parla: l’offensiva russa continua.
Sono molto stupito che si tengano negoziati sotto le bombe. Per un motivo giuridico molto semplice: in futuro, l’Ucraina potrebbe con ragione sostenere di avere firmato il trattato sotto la minaccia della violenza e invocarne la nullità.
Tutti i militari sono concordi: proprio quando le trattative potrebbero essere a una svolta, le operazioni militari si intensificano.
È normale anche questo. Ciascuna parte vuole rafforzare la propria posizione. E farla pesare al tavolo del negoziato.
La Corte internazionale di giustizia si è pronunciata su richiesta di Kiev e ha richiamato la Russia a “sospendere immediatamente l’operazione militare avviata il 24 febbraio 2022 sul territorio dell’Ucraina”. Ci può spiegare?
La Corte internazionale di giustizia non ha una giurisdizione precostituita; la giurisdizione si deve fondare sul consenso delle parti di una controversia. In questo caso gli ucraini hanno usato l’articolo 9 della Convenzione sul genocidio del 1949, secondo il quale la Corte internazionale di giustizia ha giurisdizione per qualsiasi controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione.
Ma una guerra non è propriamente un genocidio: come fa la Corte a dire di avere giurisdizione?
Giusta obiezione, ma gli ucraini sono stati più abili dei russi. Al fine di giustificare l’azione militare, la Russia ha dichiarato che la sua “operazione militare speciale” è una risposta a un presunto genocidio commesso dall’Ucraina nel Donbass. Di conseguenza, l’Ucraina ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia di accertare che essa non ha commesso alcun genocidio. Queste diversità di vedute delle parti equivale a una controversia sull’interpretazione o applicazione della Convenzione del 1949. La Russia è stata incauta.
Ma chi può dare esecuzione alla decisione della Corte?
Teoricamente il Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma è evidente la difficoltà di tale prospettiva.
Che ruolo gioca questa pronuncia nel contesto della vicenda?
Il ruolo che può avere il diritto in tempo di guerra: non riesce a fermarla, ma ha una sua forza legittimante che nel lungo periodo produce degli effetti. Non è irrilevante che tutte le parti in causa, anche quelle che hanno platealmente violato il diritto internazionale, hanno sentito il bisogno di invocarlo a proprio sostegno. Così facendo, paradossalmente, hanno ribadito l’esigenza di regole che impediscano di ricadere nello stato di guerra di tutti contro tutti.
(Federico Ferraù)
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