Ci sono dischi che raccontano la fine di un amore. In realtà quasi tutte le canzoni parlano di amore, bello o brutto, ma in alcuni casi la rottura di una relazione diventa l’elemento a cui ogni canzone è dedicata. A cominciare dal capolavoro di Frank Sinatra In the wee small hours del 1955, considerato il primo album che non fosse solo una raccolta di singoli, ma il primo che contenesse brani incisi appositamente. Una svolta che avrebbe cambiato il mondo della musica, il cui tema è l’amore perduto, in questo caso la fine della relazione con l’attrice Ava Gardner. Ne sono venuti poi molti altri, ad esempio i capolavori di Bob Dylan Blood on the tracks o di Springsteen, Tunnel of love.
Neil Young ha invece aspettato quasi 40 anni per tirare fuori il suo “break up” album. Homegrown infatti inciso tra il 1974 e il 1975 è stato pubblicato solo adesso, diventato negli anni la leggenda del “lost album”, l’album perduto. Come Springsteen, che su Tunnel of love nonostante la fine del matrimonio con la moglie Julianne Phillips le dedica l’album, anche Young fa lo stesso, dedicandolo alla ex moglie, l’attrice Carrie Snodgress. Dylan non dedicò a nessuno Blood on the tracks, perché ancora in pieno tumulto da separazione nel tentativo di recuperare la moglie Sara (ma ovviamente, conoscendolo, non lo avrebbe mai fatto).
Come quei due dischi, anche Homegrown esprime amarezza, rimpianto, senso di colpa, sfiducia nella possibilità di una relazione duratura.
Registrato con alcuni elementi di The Band (Robbie Robertson e Levon Helm) e altri magnifici musicisti subito dopo il capolavoro noir Tonight’s the night, Young lo fa ascoltare ad alcuni amici nello stesso bungalow del Chateau Marmont, l’hotel preferito di Los Angeles dalle rock star dove alcuni anni dopo John Belushi avrebbe trovato morte per overdose. Le canzoni che il canadese ha registrato le ha tentativamente intitolate Homegrown, roba fatta in casa, ma una volta finite le canzoni, la bobina del nastro continua a girare e spuntano fuori nuove canzoni. Rick Danko che era presente resta sbalordito: “Che diavolo è questa roba? Dovresti pubblicarla” commenta. E Young gli dà retta. Homegrown finisce nei cassetti: ”Così l`ho tenuto per me, nascosto nel caveau, sullo scaffale, in fondo alla mia mente…. ma avrei dovuto condividerlo. In realtà è bellissimo” sono le recenti parole di Neil Young.
Non è bellissimo in realtà, ma possiede una qualità speciale: è veritiero, onesto, sanguina sui solchi anch’esso. Ogni volta che ci affondi dentro scopri qualcosa di nuovo, e quel nuovo fa male ogni volta di più. Ma è anche un abbraccio.
Il cantautore stava soffrendo troppo in quel periodo: prima la morte degli amici, poi il divorzio, poi la fine del sogno hippie che come una mano di morte si stava impossessando dell’America, riassunto nel capolavoro Campagner, aveva fatto un altro Tonight’s the night senza rendersene conto. Solo che questa volta a morire è l’amore: “L’amore è una rosa ma è meglio che non la cogli, cresce solo sulla pianta, la mano piena di spine e ti accorgi che l’hai mancato, perderai l’amore quando dirai la parola mia”.
Come in Tonight, il disco è pieno di alcol e droga, lui e i suoi compagni ci scherzano sopra, scrivendo l’inno dei “fattoni”, We Don’ t Smoke It No More. Tutti in coro dopo essersi fumati e sniffati l’impossibile promettono che non fumeranno e non tireranno mai più. Come no. Cinque minuti di imprecazioni, chitarre sbilenche, batteria fuori tempo, ma è un gran divertimento, un bluesaccio, una jam con una splendida armonica di Young in primo piano e la sua slide. Come l’assurdità di Florida, un monologo sballato di due minuti con la chitarra lasciata in feedback in sottofondo.
Ma è quando Young resta da solo, o in compagnia di uno come Robbie Robertson che come raramente si attacca alla chitarra acustica, che senti il suo cuore sanguinare. E tu sanguini come lui. La voce è un sofflato, un sussurro, le melodie anticipano di 30 anni il low file. E’ una camera oscurata, dove le luci non passano, e l’uomo siede su una poltrona guardando il buio a rimpiangere di aver detto “mia”. No, l’amore non si può possedere.
Il tono è dolce, pieno di lacrime trattenute, non sta imprecando, sta piangendo, procede a zigzag provando di tutto. Come in Mexico, pochi minuti da solo davanti al pianoforte, deve smettere perché non riesce a portarla avanti. Come in Kansas, questa volta solo con l’acustica, come un gufo sul punto di morire nel fondo di una oscura foresta canadese che lancia il suo ultimo straziante richiamo. C’è roba fatta in casa, ma cosa sia non si sa, Homegrown è quasi funky, un po’ country, molto meglio di quel rockaccio volgare apparso poi in American stars ’n bars.
Il disco inizia con il tentativo di ritrovare se stesso: stessi accordi e giro ritmico di Out on the weekend, in cui si annuncia la maledizione del disco: “Io per me, tu per te, la felicità non è mai passata, è solo un cambiamento di modi, e questo non è una novità”, seguita da un gran pezzo country, Try, dove un coro quasi gospel gli fa eco, dominato dalla divina Emmylou Harris. Vacancy poi è un gran rock, il pezzo più lucido del disco con Levon Helm in spolvero.
Seppure già pubblicate, c’è anche la bellezza purissima che a Neil Young in quel decennio gli sfuggiva quasi di mano tanta ne aveva: Little wing, White line, Love is a rose, Star of Bethlehem, la già citata title track. Negli anni Young le distribuisce qua e là nei suoi dischi, come lasciar cadere i petali di quella rosa che tanto lo ha ferito ma che non vuole vadano persi. La prima è di una delicatezza insostenibile, di una purezza quasi mai toccata dal cantautore di una intmità che quasi ti vergogni di ascoltarla perché appartiene solo a lui, spezza il cuore. Love is a rose è l’antico proverbio dell’amore che ci regalò ai tempi di Decade e che facemmo nostra, ragazzini in cerca dell’amore senza capire che ci saremmo comportati da stupidi con le ragazze, senza tener conto del suo monito.
Infine Star of Bethlehem in assoluto tra le cose più belle e allo stesso tempo amare che abbia mai scritto, anche quella conosciuta ai tempi di Decade. Anche qui un monito non tenuto a mente quando avremmo potuto farlo:
“Non è difficile quando ti svegli alla mattina e scopri che altri giorni sono andati? Tutto quello che hai sono ricordi di felicità appesi in aria
Tutti i tuoi sogni e i tuoi amori non ti proteggeranno stanno solo passando attraverso di te e alla fine se ne andranno
Sei stato privato di tutto quello che potevano prenderti e aspettano di tornare di nuovo
Eppure una luce brilla ancora da quella lampada accesa nel corridoio forse la stella di Betlemme non era affatto una stella”