Neil Young è noto a tutti per la sua imprevedibilità e per i repentini cambi di rotta, tuttavia le mille contraddizioni e i numerosi risvolti artistici sono proprio il bello che ha reso grandiosa la sua intera produzione.

Nei primi anni settanta, dopo aver raggiunto il picco di popolarità con Harvest, si è suicidato commercialmente pubblicando la “Trilogia oscura”. Nel giugno del ‘77, quando gli amici Crosby, Stills & Nash riconquistano la scena pubblicando CSN II e i suoi fidati Crazy Horse lo aspettano diligentemente andando a letto presto, Neil Young decide di far uscire American Stars‘n Bars pur avendo due album già pronti, Homegrown e Chrome Dreams, inspiegabilmente tenuti in stand by. A quel punto anziché occuparsi della promozione del disco, Neil Young si rifugia a Santa Cruz, cittadina a venti miglia da San Francisco, nelle vesti di un turnista qualunque per unirsi ad una band locale. “Questi ragazzi suonano della grande musica” dichiarò Neil Young a cui erano state chieste le ragioni di questa scelta bizzarra: “Quello che ho intenzione di fare in questo momento è di suonare. Non vivo in una città da otto anni. Sono stato nel mio ranch per circa quattro anni e poi ho iniziato a viaggiare ovunque senza mai essere davvero da nessuna parte. Spostarmi a Santa Cruz è come riemergere nel mondo civilizzato”.



I ragazzi in questione sono l’amico Jeff Blackburn alla chitarra ritmica, il cui gruppo Blackburn & Snow già aveva condiviso il palco con i Buffalo Springfield e con cui scriverà la hit My My, Hey Hey (Out of the Blue). La band si completa con il bassista Bob Mosley dei Moby Grape, il batterista Johnny Craviotto e appunto Neil Young come lead guitarist: “Suono semplicemente la mia parte. Mi ricordo di quando ero con i Buffalo Springfield. Mi fa star bene l’esser parte di questo gruppo, è come essere in una band per la prima volta” racconta Neil Young in una intervista raccolta negli archivi di Rolling Stone. Il nome inizialmente previsto era Thunderhead, ma la scelta finale è stata poi diversa: “Eravamo in macchina lungo la laguna quando delle paperelle hanno attraversato la strada e qualcuno ha gridato The Ducks! A Neil il nome è piaciuto subito” ricorda Sandy Mazzeo, tour manager del gruppo.



Per quanto quasi tutti i concerti dei The Ducks siano stati registrati, i numerosi bootleg in circolazione sono tutti di pessima qualità (molti provenienti da audiocassette registrate dal pubblico). Dopo tanti anni di attesa, la novità di questi giorni è che Neil Young ha sfornato dai suoi Archives “High Flyin’ 1977” un doppio cd che raccoglie il meglio delle esecuzioni di quell’estate, un documento eccezionale che finalmente fa luce su uno dei periodi più bizzarri della carriera del Loner canadese. Catalogato 02 tra gli Official Bootleg Series (OBS) esce a solo di nome The Ducks senza alcun riferimento esplicito (+,&, with) a Neil Young.



In quelle sei settimane che vanno da metà Luglio fino a fine Agosto, i The Ducks suonano praticamente in ogni locale della città, dall’intimo Crossroads Club al Catalyst, dallo Steamship al Veteran Auditorium, una ventina di esibizioni in cui la band esegue un repertorio di una quarantina di canzoni. Come si può vedere nella track list ” Neil Young porta in dote cinque canzoni, oltre alle già note Are you ready for the Country? e Mr Soul, presenta live le inedite Sail Away (uscirà su Rust Never Sleeps), Human Highway (Comes a time) e Little Wing (Homegrown e Hawks & Doves).

Solido e compatto, in pieno stile Neil Young, il live all’ascolto risulta spontaneo e diretto. Oltre all’adrenalina che sprigiona il sound, si coglie anche tanta spensieratezza, Neil Young sembra infatti divertirsi nel ruolo di sideman, per lui il rock è da sempre passione e libertà. Quello che rende straordinario questo album è che l’ascolto è assolutamente meritevole a prescindere dai noti brani del canadese. Per quanto siano in buona parte sconosciuti e provenienti da espressioni stilistiche differenti, i brani in scaletta si amalgano bene tra di loro. Si possono apprezzare la ballata Hold on Boys, Gone Dead Train dei Crazy Horse, il torrenziale strumentale Windward Passage, la cavalcata elettrica di Two Riders, Gypsy Wedding dei Moby Grape, il rock travolgente di Younger Days e soprattutto l’incendiaria Silver Wings di Jeff Blackburn, presente in due versioni in chiusura di entrambi i dischi, che avrebbe meritato certamente più fortuna.

Sul futuro della band Neil Young raccontò: “Non vogliamo fare progetti, credo che abbiamo programmato le cose già troppo in passato. Gli daremo una possibilità e vedremo cosa succede”.  I The Ducks durarono giusto il tempo di un’estate, di lì a poco Neil Young cambiò nuovamente idea e lasciò la città per continuare il suo sogno di hippy da un’altra parte. The Ducks avrebbero continuato insieme ancora per un po’, ma senza Young si spensero presto. A noi rimane il ricordo di un’estate straordinaria. Quack Quack.

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