Argentina-Croazia poteva essere una finale.  Lele Adani al  2-0 per gli albicelesti: La Croazia crea, l’Argentina segna. E poi Messi.

Francia-Marocco, onore delle armi a questa squadra rivelazione, mai doma. E poi un lampo di Mbappè.

Due campioni, uno a fine carriera, l’altro seppur giovane già al culmine, vediamo chi consacrerà alla storia la finalissima dei Mondiali in Qatar.



È il secondo mondiale che la nostra nazionale guarda in tv da sdraiata sul divano… e allora ho tifato Brasile, la mia seconda patria, mio nonno nacque a Saõ Paulo (scusate l’autoreferenzialità). Ma anche i verdeoro son andati a casa, sigh! E mò tifo Messi, mai i galletti, anche se stravedo per Deschamps, che ho conosciuto.



Per un anziano come me le rimembranze sono consolatorie.

Mondiali Mexico ’70, dopo la semifinale contro la Germania (Ovest), che rimarrà in eterno nella storia del calcio, eccoci alla finalissima contro il Brasile di Pelè, Rivelino, Jairzinho & co.  E il nostro Gigi Riva.

Il 7 novembre è uscito nelle sale della Sardegna Nel nostro cielo un rombo di tuono che ripercorre vita e carriera di Gigi Riva, grande uomo e calciatore che ha fatto la storia del calcio italiano, del Cagliari e della Nazionale.

In attesa di vederlo proiettato a Milano (pochissime sale….) avevo letto il recente libro “Mi chiamavano rombo di tuono”  di Gigi Riva con Gigi Garanzini (Rizzoli), e mi aveva colpito l’essenzialità con cui Riva raccontava la sua biografia. E questo avviene anche nel film/documentario a partire dalla scelta iniziale di ritrarlo di spalle in poltrona per poi scoprirlo a mezzo busto mentre sta fumando.



Bellissima la scena sviluppata dal regista, Riccardo Milani.

Si alternano immagini  delle sue imprese calcistiche, testimonianze di amici e compagni di squadra e quant’altro. Ma lui fuma e non parla mai, il suo voice over esalta il suo viso e il suo sguardo. E la sigaretta non manca mai.

Il 7 novembre è il giorno del suo settantottesimo compleanno, una vita ripercorsa sotto l’aspetto sportivo ma soprattutto umano. Rombo di tuono fu coniato dal grande Gianni Brera in quel di San Siro quando Gigi esplose un suo sinistro su punizione e il giornalista sentì appunto un forte rumore nel cielo. Non vi elenco le sue vittorie, tutte rappresentate nella pellicola, sono storia, Gigi è per me e per l’Italia un mito calcistico.

Gianni Mura, altro grande giornalista, lo soprannominò l’Hombre Vertical, per la sua coerenza e umanità.

Nel 1973 la Juve offrì al Cagliari quasi due miliardi di lire più sei giocatori tra cui Bettega, Gentile, Cuccureddu, ma Gigi trovò la proposta indecente e immorale:

Perché per essere all’altezza avrei dovuto segnare tre gol a partita. … Ma avevo due certezze che mi davano la forza di attraversare la tempesta. Uno era l’affetto dei sardi, che non avrei mai potuto tradire; l’altra era la serenità di seguire quello che veniva dalla mia coscienza.

Non voglio fare il moralista paragonandolo ai calciatori di oggi, ma questo è…

Erano gli anni in cui Mr. Aga Khan iniziava le sue speculazioni in Sardegna per farne profitti. Il principe arrivava, Riva se fosse andato via sarebbe diventato molto più ricco di quel che era. Ma Gigi è rimasto.

La Sardegna è diventata la famiglia che gli era mancata, fatta di amici, di affetto, di cose concrete. È cresciuto dai diciotto anni in su in un contesto che lo ha confortato, rasserenato e fatto diventare uomo.

Oltre all’esempio dei soldi offerti dalla Juventus, ci sono due interviste a caldo, mentre era in barella dopo i due infortuni con la Nazionale, dove affermava che questi erano semplicemente situazioni che possono accadere sul lavoro. Lui che, orfano e chiuso in vari collegi, aveva sicuramente sofferto solitudine e mancanza di affetto,  situazioni ben più dure di una tibia e di una caviglia rotta.

Il popolo sardo l’ha accolto, amato, e sono toccanti le interviste di alcuni quasi centenari che lo ricordano arrivare nei paesini con alcuni amici di squadra. Si era immerso nella vita e cultura umana dell’isola. E questo è ben testimoniato nel film, con tanto di balli, canzoni e poesie, ma anche con le storie di emigranti e del lavoro dei pastori. Un omaggio perciò anche alla Sardegna a cui Gigi è molto grato.

Scrisse Brera per il ritiro del nostro:

I sardi vedevano in lui il campione, l’eletto che doveva riscattarli di fronte a una storia matrigna. L’hanno benvoluto e adottato prima che lo assalisse la nostalgia. Divenuto in pochi anni uno dell’isola, si è sottratto quasi del tutto ai crudeli complessi di un’infanzia troppo a lungo umiliata nell’indigenza.

Gigi non è mai stato un gran hablador, gli davano del taciturno e introverso come se fosse un di meno:

Riservato ma non triste. Ero già mezzo sardo prima di arrivare.<

Ma tutto dava sul campo e anche fuori.

Molti gli episodi  emersi che son delle chicche: il duello con con Rosario Lo Bello in in Juventus-Cagliari del 1970; la prima mezz’ora con Fabrizio de Andrè… due chiacchieroni; i pizzini  veri (?) o presunti di Grazianeddu Mesina; il gran fumatore come lui, Manlio Scopigno; l’amico pescatore Martino che l’accolse come un figlio; Roby Baggio, commosso, che lo considera un fratello maggiore, e altre ancora. È stato a lungo dirigente della Nazionale, portando la sua autorevolezza e compagnia umana nei mondiali persi a Usa ’94 (vd. abbraccio a R. Baggio dopo il rigore sbagliato) e in quelli vinti nel 2006. In silenzio apparendo il meno possibile.

Un grazie a Gigi Riva, un grande uomo e campione che nella mia infanzia mi ha appassionato al gioco più bello del mondo.

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