Sta facendo discutere una sentenza del tribunale di Livorno, circa il caso del maresciallo dei carabinieri Federico Dati, ex comandante del nucleo dell’ispettorato del lavoro di Livorno, assolto da tutte le accuse. Come riferisce il quotidiano il Tirreno, fra il 2014 e il 2016 il militare dell’arma avrebbe avuto rapporti ses*uali con una donna, in cambio di una non contestata irregolarità dopo eventuali controlli emersi. In particolare, al centro della contestazione vi è il rapporto fra il maresciallo e la titolare di un centro massaggi di Castiglioncello. I due, come scrive il quotidiano toscano, avrebbero avuto dei rapporti più volte, e la donna, dopo essere stata sentita il 17 marzo del 2017, aveva raccontato di essersi sentiti costretta ad accogliere le avance sessuali in quanto aveva davanti «un pezzo grosso».



Secondo la giudice Tiziana Pasquali si tratta di una attendibilità della parte «di per sé debole». Poiché – si legge – «ben potrebbe l’esaminata aver rivenduto la propria relazione con l’imputato con spirito vendicativo, essendo in corso di verifica l’accusa (si parla di un altro fascicolo quando la donna è stata ascoltata ndr) nei suoi confronti di sfruttamento della prostituzione. E potendo ritenere collegabili le indagini a una iniziativa del Dati». Aggiungendo – si legge ancora – «che la donna non descrive affatto comportamenti violenti da parte dell’imputato». Quindi il passaggio chiave sull’eventuale costrizione sessuale o meno: «Solo in un caso ricorda che il Dati, per convincerla a una prestazione orale, le avrebbe avvicinato con forza la testa alle proprie parti intime, ma, ribadito che anzitutto non è in alcun modo specificato in quali concreti termini sia stata compiuta questa violenza, è ben chiaro che il gesto in sé non può comportare una coazione della continuazione del rapporto, che necessita, per le stesse modalità del tipo di rapporto sessuale, di una piena partecipazione attiva della donna».



“NO COSTRIZIONE NEL RAPPORTO ORALE”, LA SENTENZA CARABINIERE FA DISCUTERE: LA REPLICA DELL’AVVOCATO

Altri dubbi vengono sollevati dal giudici in merito ad un altro episodio: «La donna racconta che in un caso sarebbero avvenuti dopo che le sarebbero stati tolti i vestiti con violenza, e anche rispetto a questo racconto – è la deduzione – da un lato neppure descrive in quali termini si sarebbe espressa la modalità violenta di togliere i vestiti. Dall’altro è anche qui da evidenziare che togliere i vestiti non comporta necessariamente passare al rapporto sessuale».

La sentenza del giudice è stata appellata dall’avvocato Roberta Rossi, che assiste la titolare del centro massaggi: «Questi due passaggi della motivazione – spiega l’avvocata – sono effettivamente pericolosissimi perché si rischia di riportare la giurisprudenza sulle violenze sessuali alla preistoria. Al ratto, dove per dimostrare la violenza è necessario il rapimento e un rapporto completo con la forza, tralasciando completamente l’aspetto psicologico». Il rischio, aggiunge ancor la legale «è quello, attraverso un certo linguaggio, di una vittimizzazione secondaria ai danni della parte offesa, non dando rilievo alla denuncia, e soprattutto stigmatizzandone il comportamento. In questo caso – conclude – non voglio pensare che ci sia un pregiudizio perché la mia cliente gestiva un centro messaggi. Perché, come sancisce la giurisprudenza, la libertà di scelta da parte della donna resta sempre, che sia implicita o esplicita. E non ci sono vittime più meritevoli di altre». Vedremo come evolverà questa vicenda, fino a prova contraria, va ribadito, il carabiniere Dati è assolutamente innocente.