Appare sui quotidiani l’avviso ai creditori del Gruppo, in concomitanza con la conversione del decreto legge che disciplina l’amministrazione straordinaria di Alitalia.

Pur avendo ricevuto molta attenzione, la vicenda non è stata rappresentata nella cronaca e nei commenti in modo di evidenziare l’esito fallimentare di una azienda quotata e a controllo statale. Le questioni sindacali e di assetto societario di una nuova e, completamente diversa, società hanno finito per porre in ombra la corretta natura giuridico-economica degli accadimenti.



Non esiste un salvataggio di Alitalia, perché la stessa è stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Roma che ha attivato le procedure concorsuali applicabili, moderate negli effetti da norme speciali per le grandi aziende, ma pur sempre tipiche di una situazione economica non sanabile.

Il piano Fenice non prevede la realizzazione di un concordato, che potrebbe eventualmente essere interpretato come il salvataggio del gruppo, ma solo una serie di passaggi atti a fare acquisire a terzi parte dei beni della società decotta. Le difficoltà della Cai nel gestire l’operazione possono interessarci, ma sono altra cosa rispetto al fallimento – ancorché definito Amministrazione Straordinaria – dell’Alitalia .



Quando una società fallisce – anche in assenza di bancarotta – le ipotesi principali sono che gli amministratori abbiano gestito la società in maniera inadeguata, gli organi di controllo non abbiano rilevato per tempo le criticità e che ,comunque, qualcuno abbia commesso errori, forse senza dolo, ma pur sempre con una dose di colpa per non aver assunto provvedimenti di rimedio.

Nella vicenda numerosi diritti sono stati lesi. Innanzitutto quello dei soci, sia lo Stato che gli azionisti di minoranza, poi quello degli obbligazionisti – di nuovo Stato e risparmiatori – , e poi quelli di tutti i cittadini utenti.



Non diversamente dai casi Parmalat, Cirio, Argentina – e altri minori – l’inefficacia dei controlli ha portato migliaia di persone a perdere risparmi; ma trattandosi anche di una società partecipata dal Ministero dell’Economia, tutti i contribuenti hanno subito gli effetti delle scelte di chi (non) ha gestito, controllato e richiamato. La diffusione degli interessi lesi non diminuisce la gravità della lesione, proprio per il ruolo dello Stato e dei suoi funzionari.

L’accertamento delle responsabilità è, nel caso di Alitalia, argomento da non mettere in sordina e che non va lasciato all’esclusivo dovere d’intervento della Procura della Repubblica, competente per i soli profili penali.

L’impegno degli amministratori, dei Sindaci, della Società di revisione e della Consob sono stati adeguati negli anni? Chi , nel Ministero, ha esaminato e deciso di approvare annualmente i bilanci e ha impartito disposizioni che hanno aggravato la crisi aziendale? L’informazione fornita al mercato e ai soci, soprattutto in occasione degli aumenti di capitale e della pubblicazione dei dati finanziari, è stata esaustiva?

Il decreto convertito in legge pone a carico della società (e quindi ribalta sugli stakeholder) le responsabilità degli appartenenti agli organi societari del gruppo e dei funzionari pubblici coinvolti a partire da 18 luglio 2007.

È evidente che anche il Parlamento ritiene che debbano essere accertate le responsabilità, quantomeno per stabilire se relative a fatti anteriori o posteriori alla data di manleva. Il rischio di interpretare la norma come una sanatoria generale, o un invito all’oblio, è forte.

L’accertamento di chi, quando e perché ha generato il danno è, invece, quanto meno un’opportunità per ricreare per il futuro la fiducia sia nelle istituzioni che nel mercato.