Con l’assemblea di Mediobanca del 28 ottobre, il mondo della finanza italiana ha fatto formalmente capolino nella crisi in atto.

Recita il sito: “Gli azionisti di Mediobanca sono circa 55 mila. Soci che rappresentano poco meno della metà del capitale hanno stipulato un accordo avente lo scopo di assicurare la stabilità dell’assetto proprietario, garantendo altresì la rappresentatività degli organi di gestione a salvaguardia dell’unitarietà di indirizzo gestionale. La gestione dell’Accordo è affidata ad un Comitato Direttivo presieduto dal Dr. Cesare Geronzi. La suddivisione per classi di possesso risulta la seguente: 45% patto 55% flottante”. Ed è tutto.



In assemblea, dei 55mila hanno preso la parola solo una ventina, ai quali il dr. Geronzi, presidente anche della riunione, ha concesso massimo cinque minuti, eventualmente togliendo la corrente al microfono di chi poneva domande non gradite.

D’altra parte i Tronchetti Provera, Palenzona, Doris, Bernheim, Bolloré, Ligresti, Pesenti ed altri soci, rappresentanti di venti importanti gruppi economici del paese, anche se presenti, hanno ritenuto di non parlare, non mostrare dubbi o palesare certezze. Non solo circa le questioni generali sull’economia mondiale e l’impatto sulle attività dei rispettivi settori, ma neppure sulle specifiche difficoltà evidenziate dagli stessi manager nella relazione al bilancio approvato: oltre un  miliardo di minusvalori (non contabilizzati come perdite grazie alle tecniche contabili), le grame prospettive (non quantificate)  ed i primi dati del semestre, che lasciano prevedere la riduzione dei dividendi futuri.
Dialogare, in questo contesto, significa ovviamente mettere in discussione il proprio status. Accettare anche solo di ascoltare un piccolo socio, che comunque ha affidato loro centinaia di migliaia di euro e dimostra di saperne più di loro, implica un modello di rapporti fra stakeholder che non può farsi strada all’interno degli affari di famiglia.

Perché comunque, Telecom, Rizzoli, Generali e Aeroporti di Roma sono investimenti importanti di cui loro sanno cosa fare: ma delle loro idee non è opportuno informare “gli altri”, neanche quelli che pagando bollette, premi assicurativi o balzelli aeroportuali forniscono i fondi per tenere in piedi, comunque, il bilancio di Mediobanca.

Anzi, a tal fine, la nuova strategia imprenditoriale – punto di orgoglio del management – prevede lo sviluppo della banca retail “Chebanca!” (altro che alta finanza e rischio), in quanto si potranno raccogliere fondi “a minor costo” dai cittadini risparmiatori. Gli stessi che poi pagheranno anche  bollette ed assicurazioni per permettere alle aziende di versare interessi e commissioni a Mediobanca. Ma, ripetiamolo insieme a Geronzi, non è il caso che questi stakeholder si occupino, soprattutto in assemblea, di questi problemi.

Ed alla fine della giornata, senza aver offerto neanche un caffè ai padroni – i 55mila – per dimostrare spirito ascetico e senso etico del risparmio, con corale nonchalance, dall’alto della superiore comprensione del mondo e delle miserie umane, visto e considerato l’enorme sforzo profuso dai consiglieri (per la cronaca 8 riunioni del Consiglio di Gestione in un anno) e gli evidenti risultati eccezionali (un miliardo di minusvalori), si decide che il compenso per il nuovo CdA sarà di 10 milioni di euro.