L’intervento del Governo a salvaguardia dell’attività bancaria prevede l’acquisizione da parte dello Stato di azioni o strumenti finanziari senza diritto di voto.

A prescindere dalle motivazioni e modalità con le quali si concretizzeranno gli specifici interventi, sembra che si voglia così limitare l’ingerenza pubblica nella successiva gestione delle stesse risorse che saranno comunque “richieste” alla collettività.



In un mondo virtuoso e di persone “capaci e buone per natura” sarebbe normale attendersi che gli amministratori delle società aiutate dallo stakeholder Stato tengano in debito conto gli obiettivi di un intervento effettuato nell’interesse generale.

Ma l’esperienza recente ci insegna ben altro: i manager perseguono obiettivi personali, quasi sempre espressi in supercompensi, che sono peraltro la contropartita della loro acquiescienza alle decisioni dei gruppi di controllo, come dimostrano nel caso italiano Dragoni e Meletti in “La paga dei padroni”.



Nelle società partecipate dallo Stato – Eni, Enel, Finmecannica – solo l’intervento assembleare del Ministero dell’Economia, forte della maggioranza dei voti, limita il potere degli amministratori, come é accaduto quest’anno con la decisione di ridurre le stock option in Enel.

Il caso delle Banche è poi esemplare. Il controllo delle decisioni assembleari è ferreo, sulla base di patti di sindacato, di accordi incrociati e di commistioni soci/debitori. La situazione attuale dei conti patrimoniali è anche dovuta a questa complessiva inadeguata governance di carattere autoreferenziale.



Nelle prime Banche italiane, tutte quotate, l’attenzione dei manager alle istanze provenienti da gruppi diversi di stakeholder è pressocché inesistente, anche quando le stesse sono coerenti con le strategie e i programmi della società, ma collidono eventualmente con gli interessi particolari. Non prevale certo il dialogo, né il richiamo alle leggi e ai principi, ma alla fine è la conta dei voti a prevalere.

Esempio attuale é il caso Unicredit. Da una parte é stata prevista l’emissione di speciali titoli, con una superredditività garantita, riservati ai soci di controllo – Fondazioni e Banca di Libia – che così continueranno a gestire senza interferenze e, dall’altra non sarà distribuito il dividendo in denaro, a scapito di quei soci (i famosi cittadini italiani risparmiatori), che avrebbero potuto utilizzare questi soldi per pagare bollette e rate del mutuo.

I soci di risparmio, quelli senza diritto di voto, nella prossima assemblea del 4 dicembre, non avranno, in questo caso, neppure il diritto di ottenere spiegazioni dall’amministratore delegato Profumo.

Forse saranno le prove per quando, dopo aver investito qualche miliardo, il ministro Tremonti si sentirà dire in assemblea: «Gazie per l’intervento, ma, zitto tu, non hai diritto di voto».