Martedi prossimo sarà presentato alle autorità statunitensi il progetto Chrysler-Fiat per ottenere ulteriori investimenti, per circa tre miliardi di dollari, da parte del Governo nella casa automobilistica di Detroit. Dei programmi, costi e benefici della joint venture non si hanno informazioni chiare sul sito della Fiat, e il contenuto dell’accordo non è noto se non sulla base di notizie di stampa.

L’amministratore delegato di Fiat Marchionne, in un contesto discorsivo, ma pur sempre pubblico, ha detto che la progettata partecipazione nell’azienda americana è come un biglietto della lotteria: il gruppo torinese lo farà for free, nessun costo e solo benefici… se la fortuna ci assiste. Che il gioco d’azzardo (esplicito) sia diventato l’ultima spiaggia della finanza?

Certamente, il contesto avrà influenzato l’atteggiamento dell’intervistato, ma si tratta pur sempre del The Wall Street Journal, e allora il messaggio va colto. Non penso che gli amministratori della società di Detroit presentino alla stessa maniera l’ipotesi di collaborazione con Fiat, dalla quale dipendono i destini dell’azienda.

I parlamentari Usa, infatti, stanno chiedendo prudenza nell’erogare altri miliardi di dollari di aiuti di Stato alla Chrysler: sarebbe difficile per il governo sostenere che il rilancio dell’economia passi in realtà per Las Vegas.

Ha scritto recentemente il Detroit News: «Come può un costruttore in un settore globale, dove i nuovi prodotti sono la chiave del successo, continuare a investire quando sia il proprietario che il futuro socio estero rifiutano di mettere un solo dollaro?».

Ma l’atteggiamento di Marchionne è sintomatico. Una grande operazione, che coinvolgerà centinaia di migliaia di operai e famiglie, è per lui un grande gioco, una scommessa: l’eventuale fallimento è solo un possibile risultato, non un personale insuccesso.

Nel frattempo, il suo compenso e i suoi bonus, e la sua stessa posizione, non sono in discussione. Lo scorso anno, lui e Montezemolo hanno incassato 14 milioni di euro di compensi. Pensano di ridarli indietro, di utilizzarli per sostenere la produzione, per alleviare la cassa integrazione (altri soldi pubblici, ricordiamo)?

Vogliono, loro, aiutare la Fiat? Per farlo basterebbe impiegare i loro compensi sottoscrivendo nuove azioni.

A casa, in Svizzera, Marchionne ha convertito in azioni l’intero emolumento da vicepresidente di UBS – colà di soli 250 mila euro. E in Italia? Montezemolo, giustamente preferisce investire nei trasporti ferroviari, sui binari: di Stato, ovviamente.

I risultati brillanti di Fiat nel 2007, sulla base dei quali hanno costruito la loro immagine, erano evidentemente fragili, provvisori – chiamarli falsi sarebbe esercizio di logica aristotelica, perché gli eventi futuri (un anno dopo) appartengono al caso, e non al novero delle competenze che vengono richieste a chi pretende di guadagnare centinaia di volte lo stipendio di un suo collaboratore.

Per assicurarseli, su La Repubblica, Marchionne precisa: «Per quanto difficile, il 2008 si chiuderà per il gruppo con un significativo risultato economico e con un trading profit che sarà il più alto nei 109 anni di storia della Fiat».

Ma allora, le cose vanno bene o no? Ha bisogno o no del nostro aiuto (questo significa di Stato) la Fiat? Gli operai perché sono preoccupati? E se la preoccupazione fosse per i dividendi della famiglia Agnelli? Quelli distribuiti nel 2008 sono stati regolarmente incassati e messi da parte. Quelli del 2009 non verranno distribuiti.

Per il futuro, precisa a La Repubblica l’amministratore delegato: «Il 2009 sarà un anno carico di significato. Se la realtà ci cambia sotto gli occhi, anche noi dobbiamo cambiare, e cambiare di continuo. Questo vuol dire che nessuno può fare più conto sulle certezze di ieri. Sono convinto, oggi più che mai, che la più grande qualità della Fiat risieda nell’avere una squadra di leader che può dare prova di tutto il suo valore nel gestire questa fase».

E sì, non sarà difficile gestire questa fase, basta aver chiesto soldi in prestito alle banche , che nel frattempo li hanno chiesti allo Stato (sempre NOI), e assicurarsi gli incentivi al settore da parte del Governo italiano.

Ci si potrà poi presentare giorno 17 a Detroit con qualcosa in mano per chiedere, insieme ai manager americani, soldi ad Obama.

Ma, per fortuna, a Marchionne non si applica la legge Usa e i limiti ai compensi (500.000 dollari, pare), che saranno imposti ai colleghi americani, per decenza oltre che per obbligo, non lo riguarderanno. Come non lo riguardano i 263 milioni di perdite per derivati legati alle stock option .

E il cambiamento del 2009? Riguarda solo tutti noi italiani-residenti che, grazie agli aiuti all’industria, daremo un piccolo contributo affinché il compenso dei vertici Fiat non venga messo in discussione, neppure in un anno, nel quale molti di noi non avranno i soldi nemmeno per cambiare le gomme della vecchia Fiat. Altro che cambiare auto.

Infatti, nonostante il contributo per la rottamazione, occorrerebbe pagare il costo della macchina con soldi. E se una volta potevamo pensare di ottenere un prestito dalla nostra banca, ora no, il finanziamento ci sarà senz’altro negato, perché dopo tutto le banche hanno già dato tutto… a Marchionne.