Negli Stati Uniti il neopresidente Obama c’è andato giù con la mano pesante: limite di 500.000 dollari agli stipendi annuali dei supermanager delle aziende salvate dagli aiuti statali. Un decimo, in certi casi anche meno, di quanto portavano mediamente a casa i Ceo delle più importanti multinazionali.

E in Italia? Nel Bel Paese, come al solito, ci si pensa due volte, prima di metter mano al portafoglio della casta, politica o economica che sia. Chi dovrebbe occuparsene, infatti, è il primo ad esser beccato con le mani nella marmellata.

Uno studio di Confindustria di fine 2007 metteva in risalto che i politici italiani costano al cittadino circa 20 euro, contro i 2 della Spagna, l’8 della Francia, i 6 della Germania. Malgrado, pungeva Confindustria , «la situazione italiana sia contraddistinta da minore efficacia ed efficienza». Se da tale pulpito dovrebbe venire la moral suasion sul giusto ammontare degli stipendi di banchieri e manager, stiamo freschi. Ma lo stesso Presidente Marcegaglia chiede allo Stato (cioè a Noi) “soldi veri” per le imprese: evidentemente gli emolumenti dei manager sono pagati con “soldi falsi”?

E infatti, a oggi, ben poco è successo, nonostante giorno dopo giorno la crisi finanziaria sbricioli i risparmi e le aspettative di migliaia di comuni risparmiatori e lavoratori. Nel 2008 i top manager hanno incassato meno, ma in attesa dei bilanci ufficiali già si parla di cifre comunque astronomiche, in barba ai pesantissimi cali di bilancio ed alla picchiata verso il basso dei titoli di borsa.

Ai più giovani è bene far sapere che non è stato sempre così. Le differenze sociali ed economiche tra i vertici della piramide e la base esistono da sempre, ovviamente, ma mai, nella storia del ‘900, nella misura raggiunta negli ultimi anni. Un’impennata iperbolica e senza controllo, che alla resa dei conti ha contribuito al disastro odierno.

Dal 2002 al 2005, scriveva “CorrierEconomia” tempo fa, a fronte di retribuzioni contrattuali cresciute mediamente dell’8,5% in tre anni, gli stipendi dei top manager delle SpA quotate italiane sono aumentati dell’80%, stock option e ulteriori benefit esclusi. Un’iperbole costante che negli anni a seguire non ha accennato ad invertire la rotta.

«Il rischio che 60.000 lavoratori del comparto auto, in Italia, restino a casa, se non ci sarà un intervento del governo, è reale», ha ripetuto più volte Marchionne negli ultimi mesi. Tradotto: se ci lasciate da soli, andrà male. Ma allora, a che serve un manager da sette milioni all’anno, se poi in fin dei conti si riduce sempre a dover chieder a noi (lo Stato) una mano per non dover chiudere la saracinesca?

E veniamo alle banche. Lo stesso Mario Draghi ha ribadito che il Forum per la stabilità finanziaria è in procinto di presentare un quadro di regole per «pratiche di sana remunerazione nel settore finanziario». Per il momento si stanno predisponendo i bilanci 2008 (disastrosi), ma non si hanno notizie di rinunce o riduzioni di compensi. Certo, verranno meno i risultati delle stock option speculative, ma i compensi e le “buonuscite” milionarie, assegnati ai partecipanti alla grande abbuffata non paiono a rischio.

E il nostro buon governatore ci potrebbe, a conferma del suo ruolo positivo, ricordare un suo intervento critico sui bilanci di Banco Roma/Unicredit, passati al vaglio ispettivo di Banca d’Italia, che riportavano i 30 milioni di fine carriera per Geronzi e Arpe?

E fra i banchieri non mancano i pentiti. Il Ceo di Banco Popolare Fabio Innocenzi incassava oltre 2 milioni di euro. Appena qualche mese dopo lo scoppio del caso Italease, recitava il mea culpa pubblico per la vicenda: «Una dura lezione che deve diventare un’esperienza dalla quale imparare per il futuro». Ma il costo della lezione (a oggi alcuni miliardi di euro) chi lo paga?

Martedì è stata annunciata da parte di Banco Popolare una Opa a 1,50 euro per azione, titolo pagato anche 50 euro dai risparmiatori. Tali prezzi esorbitanti erano congrui con le informazioni che venivano fornite al pubblico dal Consiglio di Amministrazione di Italease, di cui Innocenzi era membro a pieno titolo. Ha forse rinunciato a parte dei precedenti compensi, a parziale risarcimento? No, anzi è rimasto con alcuni incarichi di consolazione nel gruppo. E l’avv.Fratta Pasini e il prof. Giarda, dopo aver strenuamente difeso Innocenzi dalla azione di responsabilità proposta in assemblea, chiederanno forse scusa ai soci?

Per il momento, il Consiglio di Sorveglianza mantiene intatto il proprio compenso milionario: in fin dei conti, confortati dall’inazione di Draghi, penseranno che non era mica loro il compito di evitare che i soldi degli investitori andassero in fumo.