Oggi al Tribunale di Milano Marco Tronchetti Provera, ex amministratore delegato di Telecom, deporrà davanti ai giudici: dovrà rispondere alle domande relative allo scandalo della security della compagnia telefonica il cui uomo chiave è Giuliano Tavaroli, un ex carabiniere che avrebbe messo in piedi un sistema per raccogliere (con sistemi legali e non) informazioni su personaggi politici, del mondo economico (o semplici cittadini) su mandato di Telecom e Pirelli.

Per questo lavoro si sarebbe avvalso della collaborazione di Marco Mancini (ex numero 2 del Sismi) e dell’investigatore privato Emanuele Cipriani. E proprio da Cipriani arrivano le accuse più pesanti a Tronchetti Provera, oltre che rivelazioni sulle modalità di raccolta di informazioni sulle persone ritenute di “particolare interesse” dai vertici aziendali. Tra queste anche Gianfranco D’Atri, Professore all’Università della Calabria e azionista di Telecom Italia, che per ilsussidiario.net cura la rubrica “Neminem Laedere”. Il Professor D’Atri in questa lettera ci spiega il suo punto di vista su tutta la vicenda che lo vede coinvolto come parte civile nel processo.

Caro Direttore, 

Sono io il disturbatore di assemblea Telecom che il sig. Cipriani definisce “comunque una brava persona”, nell’intervista di Peter Gomez pubblicata su Il Fatto Quotidiano. Non posso ovviamente contraccambiare, essendo parte civile anche nei suoi confronti nel processo detto “Telecom” e in cui Tronchetti Provera è testimone  in questi giorni.

In effetti é fuor di dubbio – lo dichiara apertamente l’investigatore privato – che egli abbia violato la mia privacy e determinato un danno effettivo alla mia persona. Quantomeno queste attività minano in maniera grave la fiducia nel prossimo, nel vicino, nell’amico – che si scopre a frugare attorno a te. È bene attendere il giudizio del Tribunale per conoscere le responsabilità penalmenti rilevanti dei vari soggetti, ma possiamo, sicuramente già oggi, trarre delle conclusioni sul ruolo della Società Telecom, o meglio della sua governance, nella vicenda.

Ho avuto modo di consultare il dossier costruito su di me e la mia famiglia: non contiene intercettazioni e registrazioni telefoniche, ma consiste in una raccolta di dati e pedinamenti. Mi farebbe piacere sapere quanto è costato, perché comunque sono stati soldi sprecati: la foto della macelleria sotto casa, alcune osservazioni stravaganti su miei collaboratori, i dati anagrafici della famiglia e poco più. Se questa era l’attività tipica di Cipriani, allora – oltre che illecita – era senz’altro stupida.

Unico passaggio degno di nota: vengo descritto come un “soggetto capace di scoprire brogli societari”. Il linguaggio, non tecnico, fornisce però la chiave di lettura del modo di interpretare il ruolo degli azionisti e professionisti che intervengono in assemblea, e che piace a molti definire “disturbatori”. Infatti la loro azione finisce per disturbare i manovratori e impedire, a volte, che si compiano i nefasti piani dagli stessi preordinati, che non di rado prevedono truffe, violazioni di legge, e abusi vari spesso a danno degli investitori.

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Ma se i disturbatori sono solo dei “ricattatori” o più spesso (come li considerano i vari presidenti di assemblea) insignificanti perditempo, perché Tavaroli pensava, “mappandoci”, di far cosa gradita a Tronchetti che ci “patisce”? E allora il problema sarebbe: quali truffe, abusi e illegittimità esistevano in Telecom, in misura tale da allertare gli organi a controllare i soci che li avevano scoperti?

 

Ovviamente, ci farebbe piacere credere che, come afferma Cipriani, lo sudente Tronchetti si facesse passare nottetempo il compito per superare l’esame dei soci in sede assembleare. Ma, per come funziona l’assemblea Telecom e delle altre società quotate, non sarebbe stato necessario! Nessun amministratore, sindaco, socio rilevante – o cronista della carta stampata -, né la Consob o i Revisori, hanno mai preso in considerazione le osservazioni, anche gravi, dei soci. E, a dire il vero, neanche le risposte del presidente.

 

Mentre i giudici dovranno pronunciarsi nei limiti delle procedure giudiziarie, gli investitori possono sin da ora esprimere il giudizio – negativo – sulle strutture di governance della maggior parte delle società italiane quotate. Esse non sono idonee a tenerle indenni da responsabilità verso i terzi, come nel caso Telecom, ma ancora peggio sono inadatte a creare un rapporto collaborativo con tutti gli stakeholder, favorendone lo sviluppo.

 

Cipriani e i suoi agenti hanno trovato un modo per distogliere l’attenzione dai veri problemi del caso Telecom: la leva finanziaria, il valore dell’avviamento, la concorrenza e il ruolo industriale. Conclusione. Non c’é bisogno di agenti segreti per gestire le grandi società: bastano dei buoni ragionieri. Ma forse “disturbano”.