Già Mauro Bottarelli, in un articolo su queste pagine, aveva ricordato il tema dell’oro della Banca d’ITALIA, le cosiddette “riserve auree” ai tempi in cui la stessa stampava le vecchie lire e che non svolgono più questa funzione dall’introduzione dell’euro. Scrivo in maiuscolo “Italia” per evidenziare da subito che non è possibile dubitare – in considerazione della loro genesi – che queste riserve appartengano alla nazione e, quindi, ai suoi cittadini (nella misura di circa 40 grammi a persona, bambini inclusi).
In effetti, dalla riforma Ciampi in poi, la proprietà pubblica dell’ex istituto di emissione è andata perduta a seguito della trasformazione delle principali banche commerciali in aziende private: detengono quote Intesa San Paolo, Unicredit, Mps, ma anche Generali e Fondiaria e, indirettamente, persino la tedesca Allianz e la francese Bnp; allo Stato rimane la quota dell’Inps. Senza avere sborsato neanche un euro, i partecipanti privati al capitale si ritrovano ora a detenere il patrimonio di Banca d’Italia, fra cui l’oro.
Una legge del 2006 avrebbe dovuto porre fine a questo stato di cose, avendo imposto la cessione delle partecipazioni private, sulla base di un regolamento che non è stato mai emesso, né mai sollecitato da alcun gruppo parlamentare. E nemmeno ha avuto risposta una interrogazione parlamentare del 2009, a cui facevamo riferimento in un nostro precedente intervento. Ovviamente, questa strana commistione fra l’autorità di controllo e i suoi controllati, che ne sono legalmente i proprietari, non preoccupa nessuno e le manovre dietro le quinte possono svolgersi come sempre.
Ed ecco emergere un’idea: dal momento che il valore patrimoniale delle quote nei bilanci delle Banche è molto basso, consentire alle stesse di adeguarlo per almeno 20 miliardi fornendo così “nuovo capitale” e sistemare i bilanci in vista di Basilea 3. Operazione solamente contabile al momento, che ha – guarda un po’! già messo in atto Mps. La Banca d’Italia di Draghi non ha avuto niente da dire a suo tempo e, così, prossimamente anche le altre banche potranno adeguarsi e poi, in occasione della eventuale cessione delle quote a soggetti pubblici, il trucco di bilancio potrebbe trasformarsi anche in un cospicuo incasso effettivo. Alla fine assisteremmo a un utilizzo del patrimonio “di tutti” a beneficio “di pochi”.
D’altra parte, un uso disinvolto del patrimonio pubblico (come dobbiamo considerare quello di Banca d’Italia) è esemplificato dalla recente cessione della quota detenuta in Generali alla Cassa Depositi e Prestiti anziché sul mercato, in modo da mantenere sotto controllo di uomini di fiducia un voto azionario importante. Ma il caso dell’oro è più rilevante, perché il controvalore complessivo è di oltre 100 miliardi, attualmente immobilizzati e inutilizzati.
Sarebbero diverse le possibilità di impiego dell’oro: dalla cessione graduale sul mercato – ad esempio per finanziare un periodo di vacanza nell’emissione di debito pubblico (inducendo una diminuzione dello spread) – all’uso come collaterale di garanzia per l’emissione di speciali Btp a tasso zero o quasi. E ovviamente anche l’ipotesi di riprendere la sovranità monetaria, potrebbe essere esaminata solo disponendo delle riserve. Ma per poter fare qualcosa, occorre innanzitutto stabilire con chiarezza che la Banca d’Italia e il suo oro, le sue quote azionarie, i suoi palazzi, i suoi terreni, sono di proprietà degli italiani e non delle Banche.