Il decreto legge 180, con il quale il Governo ha frettolosamente anticipato l’adozione dei meccanismi europei di risoluzione delle crisi bancarie, prevede innanzitutto la sospensione o l’inapplicabilità di alcune norme di diritto societario e fallimentare e, stranamente, di quelle sulla trasparenza amministrativa. L’impatto di tali disposizioni ci sarà chiaro solo in seguito, ma probabilmente va ben oltre la richiesta di evitare gli “aiuti di Stato”, che sarà argomento principe nelle discussioni su come tutelare i risparmiatori: che scopo avrebbe, ad esempio, limitare l’accesso agli atti o impedire la costituzione di parte civile nei procedimenti penali ai creditori che si ritengono truffati?
Il comunicato della Banca d’Italia precisa che tale provvedimento è stato assunto dal Governo in stretta collaborazione e intesa con la stessa. Noi ricordiamo che la Banca d’Italia è ora un’azienda privata che distribuisce un lauto dividendo ai suoi soci, fra cui le grandi banche e, recentemente, le casse di previdenza. Placatosi il dibattito sull’approvazione della legge di rivalutazione delle quote, non è stata chiarita la governance di palazzo Koch, in particolare in relazione alle varie funzioni di interesse pubblico, storicamente svolte da un organo che apparteneva allo Stato.
A parte la perdita del potenziale istituto di emissione di una moneta nazionale, gli italiani non hanno alcun controllo sulle riserve auree e sul patrimonio detenuto. E, soprattutto, non esiste una regolazione delle attività di supervisione del sistema finanziario, che dovrebbe essere affidata a una Autorità di vigilanza retta dalla legge e non, di fatto, a un organismo privato che predispone persino i decreti governativi da far approvare al Parlamento.
Ovviamente, il decreto 180 affida ogni potere per gestire la crisi delle quattro banche “fallite” proprio all’organismo che riveste il ruolo di principale responsabile nei confronti dei creditori. Il Sole 24 Ore ha riportato informazioni sull’attività di controllo di via Nazionale che, pur avendo rilevato da anni il deficit patrimoniale, i prestiti dubbi agli amministratori e altre gravi irregolarità, non aveva allertato i risparmiatori. Questi, in base alla legge, si sentivano tutelati, e non sapevano di detenere obbligazioni a rischio e azioni “farlocche”. Anzi, nel caso della quotata Banca Etruria, con il silenzio aggiuntivo della Consob, è stato effettuato un aumento di capitale vendendo azioni il cui valore poteva ormai essere considerato nullo. I palliativi che il Governo ha promesso ai piccoli risparmiatori serviranno ancora a limitare la piena comprensione dei fatti e dei possibili rimedi.
Banalmente i risparmiatori sono stati truffati. Il profilo legale è complesso, i reati commessi e i responsabili individuali dovrebbero essere scovati dalle procure. Invece, la responsabilità civile può chiaramente essere individuata negli organi di controllo, e a questi vanno rivolte le istanze di risarcimento e una “class action”. La condanna di Banca d’Italia a pagare, per l’eventuale condanna in Tribunale, non potrebbe essere qualificata come aiuto di Stato.
Al Parlamento, invece, competerebbe attivare una commissione d’inchiesta, come sostenuto da Gianni Credit su queste pagine, perché l’intero sistema bancario italiano non è stato adeguatamente controllato, e i 200 miliardi di sofferenze che oggi devono essere sistemati con la creazione di una “bad bank” sono una bomba che qualcuno ha armato.