La crisi del Monte dei Paschi sta riproponendo, in maniera ripetitiva, temi tecnici di base che attengono alla gestione di tutto il sistema bancario, e non solo italiano. I ratio patrimoniali, gli stress test, gli indicatori di vario genere sono solo delle misure sintetiche e apparenti basate sui numeri. Il livello di conoscenza di quello che sta dietro è bassissimo, né la Bce, né la Banca d’Italia, per non parlare della Consob di Vegas, sanno cosa si celi dietro gli Npl e, in generale, i crediti, anche in bonis. Le ispezioni, rare e semplificate, controllano carte, documenti, numeri e, salvo che dall’alto arrivi l’ordine di “bastonare” – come avviene spesso nelle piccole banche cooperative -, verificano le situazioni formali, il rispetto delle procedure, l’esistenza delle firme: la solidità di un castello di carte. Ma l’attività bancaria è basata su un solo vero asset patrimoniale: “la fiducia”. I controlli servono per stimolare i comportamenti virtuosi, ma se gli operatori non riscuotono credibilità nessun controllo o garanzia elimina il dubbio e la paura.
Al netto quindi dei dati contabili – Mps sulla carta non ha problemi numerici e il capitale sociale è ancora di 9 miliardi di euro -, il tema è che nessuno crede alle rappresentazioni di bilancio. Gli investitori e i clienti non sanno se un domani si parlerà o meno di falso da codice penale: ormai essi hanno la certezza che i dati non sono veri, quindi vendono le azioni, le obbligazioni o ritirano i fondi. Che poi a rimetterci, sicuramente, saranno i piccoli e non i grandi investitori è un triste corollario.
Ancorché un po’ blasfemo, non è un caso che sulle banconote americane appaia il motto “in God we trust” e che molta analisi teologica sia rivolta al denaro, al prestito, al rapporto fiduciario fra le persone sotteso dagli scambi monetari. E, se si vuole comprendere cosa sta accadendo, perché accade e dove cercare le responsabilità, al fine di trovare una via d’uscita, non si può prescindere dal ruolo delle persone, dalle relazioni che esse costruiscono e dai loro progetti di vita, di cui quelli finanziari sono solo un risvolto.
Partendo da questa riflessione è semplice concludere che maggiori risorse monetarie – sottratte necessariamente ad altro – che vengano ulteriormente destinate a sostenere e mantenere in vita strutture che hanno perso il loro vero patrimonio – la fiducia – sono inutili. E se il caso Mps è emblematico di una perversa pervicacia, dopo diversi aumenti di capitale, quasi tutto il settore bancario soffre, a vari livelli.
Siamo entrati in una fase nuova, dove vanno ridefiniti il ruolo e le funzioni non solo delle istituzioni finanziarie, ma quelle dello stesso denaro, per come lo conosciamo, e del prestito finanziario.