Sembra un esercizio quasi inutile, dopo la conferma della morte del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, prevedere ciò che può avvenire in Medio Oriente. Israele, con il suo servizio segreto, il Mossad, che dopo il 7 ottobre dell’anno scorso non si fa più sorprendere, tiene sotto controllo, con tutta probabilità, quasi tutti i capi di Hezbollah e di Hamas, cioè il “partito di Dio” e il gruppo terrorista che, di fatto, rappresentano un popolo, quello palestinese, che ha un territorio che si può definire quasi teorico, che non esiste realisticamente come uno Stato autonomo riconosciuto.



La famosa risoluzione ONU n. 181 del 29 novembre 1947 deve essere stata dimenticata in un “cassetto”, e anche il piano inglese del 1937 era un’utopia che non si è mai realizzata. Di fatto l’utopia dei due Stati è sempre stata presente, anche quando si è costituita l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che ha sempre mirato alla costituzione di uno Stato con capitale Gerusalemme Est. Ma non è mai stata realizzata veramente.



Tra israeliani e palestinesi ci sono stati momenti di dialogo e di speranza, di convivenza tranquilla se non di cooperazione, ma lo sfondo, anche per il mondo che circonda quella zona, è sempre stato un autentico “putiferio” geopolitico, in cui si accumulano responsabilità non solo israeliane e palestinesi, ma anche di tutto il  mondo occidentale, che non è mai riuscito a imporre il linguaggio della diplomazia in un contesto tanto complesso.

È quasi inutile fare il conto delle responsabilità storiche in queste tragica vicenda. Bisognerebbe al contrario rompere gli schemi del passato e ricordare con coraggio che c’è un diritto all’esistenza dello Stato di Israele e c’è un diritto all’esistenza dello Stato di Palestina. Ma è possibile avere un coraggio del genere in una crisi dell’ordine mondiale come quella che stiamo vivendo? Probabilmente è questa crisi che alimenta, in un’autentica “polveriera” quasi secolare, l’azione dei protagonisti peggiori del terribile conflitto mediorientale.



C’è il governo israeliano guidato da Bibi Netanyahu, che risponde ad azioni criminali e terroristiche con autentiche stragi. Quello che è accaduto a Gaza e quello che sta avvenendo in queste ore in Libano non è tollerabile. Uomini come Shimon Peres e Yitzhak Rabin, o vecchi premier laburisti di Israele, condannerebbero duramente le azioni di Netanyahu. L’unica “scusa” dell’attuale premier israeliano è quella di avere di fronte due organizzazioni terroristiche come Hamas e Hezbollah, che si arrogano il diritto di rappresentare i palestinesi e in alcune azioni si servono di mettere a rischio la vita degli stessi palestinesi.

Pensando comunque alla crisi dell’ordine mondiale, il Medio Oriente in questo momento appare come una proiezione ridotta di questo disordine, fidandosi cinicamente di alleanze “obbligate”.

Gli Stati Uniti e tanti altri Paesi non condanneranno mai Israele. Dall’altra parte sia la Russia che la Cina non prenderebbero mai posizione contro Hamas e Hezbollah. In una sorta di sintesi crudele, il disordine del mondo si proietta proprio sullo scacchiere complicatissimo del Medio Oriente intorno alla guerra tra gli israeliani e i rappresentanti del terrorismo palestinese.

In questo modo si sviluppa un paradosso tra i più crudeli della storia dell’umanità: sia a Netanyahu, sia ai capi di Hezbollah e Hamas conviene una sorta di “status quo” belligerante, un immobilismo di guerra continua, di minacce, di finte disponibilità a tregue che non fanno comodo a nessuno, perché tutti questi protagonisti aspirano al logoramento, alla distruzione dell’avversario oppure, per gli israeliani, a un controllo di una ipotetica zona, o parvenza di Stato, riservata ai palestinesi.

Tuttavia questo cinico immobilismo di “guerra continua”, queste risposte di bombardamenti, di attentati e questo incrociarsi di droni e di razzi, questo gioco al massacro insomma, non sarebbe facilmente controllabile se si trasformasse in una escalation più dura.

In questo modo c’è il rischio che la proiezione ridotta della crisi dell’ordine mondiale si possa trasformare nello scontro mondiale, legandosi all’altro scontro bellico che da oltre due anni si svolge in Ucraina.

Diamo solo uno sguardo alle ultime azioni in Medio Oriente. Israele bombarda il Libano e prepara un’azione sul terreno. È una nuova invasione del Libano come avvenne nel passato? È lecito dubitarne, perché un’azione di terra si esaurisce in poco tempo, impaurisce l’avversario e lascia segni terribili, ma un’occupazione sarebbe troppo problematica per Israele, costringendo il governo di Tel Aviv a spostare uomini in troppi luoghi del conflitto.

Con più probabilità, l’attacco al Libano è un messaggio duro all’Iran, lo Stato che sostiene sia Hezbollah sia Hamas, con armi, uomini, munizioni. L’Iran sciita vuole distruggere Israele, è armato, sostenuto direttamente o indirettamente da Russia e Cina. Pericoloso certamente, ma quanto potente e tecnologicamente preparato sul piano militare  In queste ore, l’Iran ha minacciato più volte Israele e ha dichiarato che manderà uomini in Libano per sostenere Hezbollah. Questo è il vero rischio, un allargamento su scala più ampia della guerra che potrebbe aggravare la crisi dell’ordine e sfociare in un’avventura tragica.

Lucio Caracciolo sostiene ad esempio che un’azione diretta dell’Iran contro Israele dovrebbe in linea di massima essere fatta e programmata, perché altrimenti il Paese degli ayatollah perderebbe credibilità agli occhi di Hamas e Hezbollah.

A questo punto che cosa accadrebbe? Non c’è una risposta sicura a questa ipotesi. Ma non c’è dubbio che il futuro a questo punto diventerebbe più grave. Come risponderebbe Israele a un attacco diretto dell’Iran? Forse per questo il mondo intero sta in questo momento con il fiato sospeso.

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