Potrebbe essere imminente un mandato di arresto per i vertici dello Stato di Israele – il premier Netanyahu, il ministro della Difesa Gallant e il capo dell’esercito Halevi – spiccato dal procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan. Lo confermerebbero anche fonti governative israeliane. Le accuse potrebbero essere gravissime e avrebbero significative ripercussioni politiche, isolando i vertici israeliani nel contesto internazionale e nell’opinione pubblica delle democrazie. Gli USA, ai quali Netanyahu si sarebbe rivolto per avere supporto politico, negano che la Corte abbia giurisdizione in materia, ma sono da sempre contrari alla CPI e la loro tesi è infondata, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università Sapienza di Roma.
Che Netanyahu e i vertici di Israele possano essere accusati di genocidio è difficile, ma possibile, secondo il giurista. Tale accusa, se fatta propria dalla Corte penale internazionale (CPI), sarebbe più rischiosa per i leaders ebraici del procedimento per genocidio intentato dal Sudafrica in Corte internazionale di giustizia.
Il provvedimento della CPI potrebbe ovviamente riguardare non solo esponenti del governo Netanyahu, ma anche i capi di Hamas.
Professore, sappiamo che Israele non è Stato parte dello statuto della CPI. Quale sarebbe il fondamento della sua giurisdizione?
È vero, Israele non è parte dello statuto della CPI. Tuttavia, lo statuto stabilisce una serie di titoli di giurisdizione. La Corte ha giurisdizione se l’imputato è un cittadino di uno Stato parte, così come se la condotta dell’imputato è stata commessa sul territorio di uno Stato parte. Di conseguenza, la CPI ha giurisdizione su cittadini israeliani qualora i presunti crimini siano stati commessi nel territorio di uno Stato parte, anche se Israele non ha aderito allo statuto.
Per essere espliciti, stiamo ora parlando della Palestina.
La Palestina è una parte dello Statuto. È una parte di cui si contesta la statualità, come sappiamo, però formalmente è nella lista degli Stati parte. Questa circostanza fornisce un fondamento giuridico alla procedura che la CPI potrebbe avviare.
Hamas sarebbe forse meno perseguibile di Israele?
No. I crimini di Hamas sono stati compiuti sul territorio israeliano e quindi non ci sarebbe il requisito territoriale, ma essendo i miliziani “cittadini” palestinesi, ci sarebbe la giurisdizione personale, fondata appunto sulla cittadinanza. Il procuratore capo della CPI Karim Kahn ha rilasciato una dichiarazione al confine fra Rafah e l’Egitto il 29 ottobre 2023, indicando che la Corte avrebbe investigato sia sui crimini commessi da Hamas, sia su quelli commessi da Israele.
Su cosa giudica la Corte penale internazionale?
Giudica sui crimini tradizionalmente considerati come internazionali, quindi crimini di guerra, crimini contro la pace e crimini contro l’umanità. A questa si aggiunge il genocidio, tradizionalmente considerato un crimine contro l’umanità, ma che nello statuto della Corte ha un posto a sé.
Giudica anche il crimine di aggressione?
Al fine di aprire un’indagine su un presunto crimine di aggressione occorre un titolo di giurisdizione speciale, che richiede una delibera del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Oggi non sarebbe possibile alla Corte esercitare la propria giurisdizione relativamente al crimine di aggressione. Su tutti gli altri crimini la Corte avrebbe giurisdizione.
Quali potrebbero essere le possibili accuse?
Ambedue le parti non hanno assicurato la distinzione fra militari e civili. L’azione di Hamas si è rivolta pressoché esclusivamente contro civili, con violenze davvero atroci. La cattura degli ostaggi, poi, è un crimine a sé, vietato espressamente dalle convenzioni internazionali che rispecchiano il diritto generale. Israele ha bombardato insediamenti civili, luoghi di culto, ospedali, tutti rigorosamente protetti dal diritto umanitario.
E se gli ospedali nascondono terroristi?
Gli ospedali godono di una protezione specifica e non è sufficiente dichiarare che ci sono armi o miliziani nascosti nel sottosuolo per distruggere un presidio ospedaliero. Gli ospedali devono poter funzionare sempre.
Andiamo avanti con i possibili capi di accusa. I trasferimenti forzati?
Si possono fare per esigenze belliche: lo dice espressamente la IV Convenzione di Ginevra del 1949, di cui Israele è parte. Ma ai civili che sono trasferiti forzosamente devono essere assicurate le condizioni primarie di vita, abitazioni decenti, cibo, acqua, cure mediche.
La riduzione alla fame?
Se si accertasse che la starvation è imputabile all’esercito israeliano, sarebbe un’azione molto grave, pari a un crimine di guerra o addirittura ai crimini contro l’umanità.
E quanto al genocidio? Nel gennaio scorso la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha stabilito che l’accusa è plausibile e ha ordinato ad Israele di porvi rimedio.
Il tema del genocidio è complesso e richiede un chiarimento. La CIG, una Corte diversa dalla Corte penale internazionale, ha ritenuto plausibile che si siano verificati atti genocidiari, ma non li ha attribuiti ad Israele. E, per ragioni tecniche, io credo che abbia fatto bene.
Per quale motivo?
Innanzi tutto, la CIG non giudica sui crimini commessi da individui, ma su controversie fra Stati. Il Sudafrica ha fondato l’apertura del procedimento davanti alla CIG sulla Convenzione sul genocidio del 1948, della quale sono parti sia il Sudafrica stesso che Israele. Ebbene, è molto difficile che un genocidio possa essere attribuito ad uno Stato. La principale difficoltà è che serve un dolo specifico. Significa che non è sufficiente una condotta genocidiaria, per esempio un eccidio di massa, ma è necessario che tale condotta venga commessa con l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, razziale, etnico o religioso.
Cosa ne consegue, per ciò che ci interessa?
Ne viene che l’accertamento di un dolo specifico in capo a uno Stato non è assolutamente facile. Prova ne è che la CIG non ha mai accertato la commissione di un genocidio da parte di uno Stato. Invece i tribunali penali internazionali, che giudicano sulle condotte di individui, hanno varie volte accertato la commissione di un genocidio e condannato a pene altissime gli autori.
La CPI potrebbe accusare di genocidio Netanyahu e il gruppo dirigente israeliano?
Non possiamo dire nulla al momento. Il contenuto del possibile mandato d’arresto della CPI potrebbe includere crimini di guerra e contro l’umanità. È più difficile che contenga anche accuse di genocidio.
Per quanto riguarda le altre due tipologie, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, cosa può dirci?
Potrebbero essere imputati anch’essi ai miliziani di Hamas e all’esercito israeliano. Se ci sono le prove, anche alle direzioni politiche dei due contendenti. Ma occorre essere consapevoli che, mano a mano che si sale nella catena di comando, l’onere della prova diventa sempre più difficile. Se i soldati sparano su una moschea, quello potrebbe essere un crimine di guerra. Per attribuirlo al ministro della Difesa occorre un ordine superiore, che va individuato e provato, per attribuirlo al primo ministro la verifica si complica ulteriormente. È chiaro che l’azione è sotto la direzione generale del governo, ma il procuratore deve e può valutare solo singole azioni.
Nell’ipotesi che fosse emesso un mandato di arresto, Netanyahu potrebbe appellarsi all’inviolabilità personale dei capi di Stato e di governo in carica?
La giurisprudenza della CPI indica chiaramente che la Corte può procedere anche sulle persone coperte da immunità personale, come è avvenuto per il presidente sudanese al Bashir. Molti giuristi, però, ritengono che la Corte abbia commesso una forzatura interpretativa.
L’ipotesi dell’incriminazione ha messo in grande apprensione Netanyahu, che avrebbe chiesto supporto agli Stati Uniti. Lunedì la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha fatto, tra le altre, due dichiarazioni che le chiederei di commentare. La prima: “gli Stati Uniti non sostengono l’indagine della CPI contro Israele”.
Questo è un fatto. Ma nessuno Stato dovrebbe “sostenere” o “non sostenere” le indagini di un giudice indipendente. Le pressioni politiche non dovrebbero essere esercitate e, se esercitate, non dovrebbero avere alcuna influenza sulle decisioni delicatissime che la Corte prenderà, compreso il suo procuratore generale. Ma capisco anche i risvolti della sua domanda, che sono poi quelli contenuti nella dichiarazione. Immagino che se il procuratore ha intenzione di spiccare un mandato di arresto, lo farà sapendo che gli Stati Uniti sono contrari.
La seconda dichiarazione: “Riteniamo che la Corte non abbia alcuna giurisdizione in materia”.
È chiaramente l’opinione, ben nota, degli Stati Uniti, che conoscono lo Statuto della CPI come lo conosciamo tutti. Immagino anche che gli Stati Uniti sappiano che la Palestina è stata accolta come Stato parte. Essi, probabilmente, contestano la qualità di Stato della Palestina. Per essere uno Stato parte occorre prima essere uno Stato.
Perché gli USA non hanno mai firmato lo statuto?
Per non rendere perseguibili i loro soldati impegnati in operazioni nelle varie parti del mondo. Gli Stati Uniti hanno dimostrato più volte la propria ostilità alla Corte. Nei primi anni di questo secolo hanno adottato una legislazione tesa ad impedire l’esercizio della giurisdizione della CPI. Inoltre hanno chiesto e ottenuto una risoluzione dal Consiglio di sicurezza dell’ONU che ha paralizzato per qualche anno eventuali incriminazioni da parte degli organi della CPI. Le ragioni addotte riguardano la riluttanza degli Stati a fornire truppe per il mantenimento della pace in varie aree del mondo qualora le azioni di queste truppe siano poste sotto la spada di Damocle di un’incriminazione da parte della Corte.
Quali sarebbero le conseguenze di un possibile mandato di arresto spiccato dalla Corte a carico di organi dello Stato israeliano?
Sarebbero molto serie per Israele. Il mandato avrebbe effetto nei 120 e più Paesi che sono parti dello Statuto di Roma. Se si tenesse una conferenza di pace in uno di questi Paesi, i giudici interni avrebbero l’obbligo di dare esecuzione al mandato di arresto della CPI.
(Federico Ferraù)
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